Questo è il paese del Nilo, il fiume dalle belle vergini; all'epoca del disgelo, irriga le terre, sostituendosi alle piogge. Da vivo qui regnava Proteo, che dalla reggia nell'isola di Faro dominava su tutto l'Egitto. Si era preso per moglie una ninfa, Psamate, che aveva lasciato Eaco; coronamento dell'incontro due figli, un maschio, Teoclimeno, e una bimba, Eidò, orgoglio della madre fin da piccola. Una volta cresciuta, in età da marito, assume il nome di Teònoe che vuol dire mente divina, perché padroneggiava i misteri del cielo, presenti e futuri; una dote ereditata dal nonno Nereo.
Io sono nata in un paese famoso, Sparta, e mio padre è Tindaro. Qualcuno mormora che Zeus si era rifugiato nel grembo di mia madre Leda, assumendo l'aspetto di un cigno inseguito da un'aquila, per introdursi subdolamente nel suo letto. Sarà, non sarà. Mi chiamo Elena. E adesso vi racconto le tribolazioni che ho passato. Un giorno, scendono in visita da Paride, in una valle dell'Ida, tre dee: Era, Cipride, Atena, le quali volevano un arbitro che giudicasse della loro bellezza. Trionfa Cipride, aveva incastrato Paride promettendogli le mie grazie: se grazia può definirsi qualcosa che porta sfortuna.
Paride pianta le stalle dell'Ida, corre a Sparta per godersi i miei favori. Ma Era, rabbiosa per essere stata sconfitta, mi toglie dal mio letto e getta tra le braccia di Paride non me, ma un essere fatto a mia immagine e somiglianza, una bambola d'aria, che si muove e respira. Il figlio di Priamo crede di possedere me, e si stringe a una vuota apparenza. Non è finita, c'è di peggio: Zeus decide di scatenare una guerra tra i Greci e i Frigi, per risolvere il pesante problema demografico e per coprire di gloria Achille, l'eroe fulgido fra i Greci. I Frigi si battono a difesa, i Greci si lanciano alla riconquista non di me, ma del mio nome soltanto. Ermes mi aveva avvolta in una nuvola (Zeus non si era scordato di me) nelle pieghe dell'etere, e mi trasporta a casa di Proteo, il più giusto dei giusti: il mio onore, e quello di Menelao, così erano salvi.
Ed eccomi qui, in Egitto, mentre il mio povero sposo, radunato un esercito, e partito per Ilio e ne assedia le mura per riprendermi. I caduti sulle rive dello Scamandro sono migliaia; e io che ho patito quel che ho patito, vengo maledetta, perché dicono che ho tradito il mio sposo e sono causa di un conflitto immane. Perché vivo ancora? Perché un dio, Ermes, ha dichiarato, e l'ho sentito, che ritornerò in patria, nella mia bella Sparta, insieme a mio marito, e sarà chiaro che a Troia non c'ero, che non mi sono stesa su un letto con un altro. Finché Proteo era vivo, il mio onore era al sicuro: da quando è nel regno dei più, suo figlio mi insidia, mi vuole in moglie.
Ecco perché, nella mia inconcussa fedeltà a Menelao, io sto qui ai piedi della tomba di Proteo; lo supplico di difendere la mia virtù; anche se la reputazione di cui godo in Grecia è molto dubbia, almeno il mio corpo qui non subisca oltraggio.
Chi comanda questo maniero, questo fortilizio? Da questa cinta regale, da tutti questi fregi, mi sembra degno della magione di Proteo. Oh dio, cosa mi si para dinanzi agli occhi? È la figura della donna più repellente e perniciosa che esista, della donna che ha rovinato me e tutti gli Achei. Sei precisa a Elena, che gli dei ti rigettino. Ringrazia che mi trovo in un paese straniero: altrimenti, un balenare di lama, e pagheresti colla vita la tua somiglianza con la figlia di Zeus.
Cosa ti salta in testa, mentecatto? Ma chi sei che mi volti le spalle, te la pigli con me per le malefatte di un'altra?
Mi sono sbagliato, ho trasceso, non dovevo: ma la Grecia intera detesta la figlia di Zeus. Scusami, ti prego, per il mio discorso.
Chi sei? Come sei capitato sin qui?
Donna, sono un superstite, tra i poveri Achei.
Capisco allora che Elena non ti piaccia. Ma come ti chiami? Come nasci? Da dove vieni?
Teucro mi chiamo, sono il figlio di Telamone, la patria che mi ha nutrito è Salamina.
E allora cosa ci fai in suolo egizio?
Gli amici mi hanno scacciato dalla patria.
È triste il tuo caso; chi ti ha mandato in esilio?
L'amico più sicuro, no? Mio padre.
Ma perché? Dietro ci sarà stato qualcosa di grave.
Aiace è morto a Troia: cominciano di lì le mie disgrazie.
Capisco, lo hai ammazzato tu, con un fendente.
No, no, si è buttato lui sulla spada.
Era diventato pazzo: uno sano nemmeno ci pensava.
Di Achille, figlio di Peleo, hai mai sentito parlare?
Come no? M'han detto che era uno degli aspiranti alla mano di Elena.
Ha seminato zizzania da morto tra gli Achei, per colpa delle sue armi.
Scusa, ma cosa c'era di tragico per Aiace?
Le hanno date a un altro, le armi, e lui si è suicidato.
E ne paghi le conseguenze tu?
Avrei dovuto immolarmi con lui.
Allora c'eri anche tu all'assedio della famosa Ilio?
Sì, ho contribuito alla sua, e alla mia, distruzione.
Le hanno già appiccato fuoco, l'hanno rasa al suolo?
Delle sue mura non resta neppure l'ombra.
Povera Elena: per causa tua che sterminio di Frigi.
E di Achei no? Quanti lutti ha seminato!
La città, è molto che è stata distrutta?
Da sette anni, presso a poco.
E l'assedio durò a lungo?
Lune su lune, per un totale di dieci anni.
La Spartana, l'avete catturata?
Menelao se l'è trascinata via per i capelli.
L'hai visto tu di persona? O te l'hanno raccontato?
Con questi occhi, proprio come vedo te.
Bada, potrebbe essersi trattato di un miraggio, di uno scherzo degli dei.
Basta così, passiamo ad altro.
Tu consideri certo ciò che hai creduto di vedere.
Con queste pupille l'ho vista, l'immagine mi si è fissata nel cervello.
Adesso, quindi, Menelao è a casa sua con Elena.
Ad Argo veramente non c'è, e neanche sulle rive dell'Eurota.
Ahi, ahi. Che disgrazia per le persone di cui stai parlando.
È sparito lui, è sparita la moglie, si sussurra.
Non navigavano tutti assieme, i Greci?
All'inizio sì, poi una tempesta li ha dispersi, un po' qui, un po' là.
Ma quando? Da che parte del mare?
A metà viaggio, in pieno Egeo.
Dopodiché, di Menelao si son perse le tracce.
Sì, e in Grecia corre voce che sia morto.
Che colpo, per me: dove sei, Leda ?
Hai nominato Leda? È scomparsa, è morta.
L'ha uccisa la vergogna di Elena?
Così dicono. Si è stretta un cappio i ntorno al collo delicato.
Ma i figli di Tindaro, sono vivi o no?
Forse sono morti e forse no: la notizia non è sicura.
Ma che ipotesi prevale? Sono affranta, sconvolta.
Pare che siano divenuti due stelle, nel firmamento.
Splendido, magnifico: e l'altra voce?
Si sono tagliati la gola per via della sorella. Basta con queste storie: non desidero rinfocolare la mia ambascia. Io sono qui, dinanzi a questo palagio, per un motivo.
Voglio consultare Teònoe, la profetessa: aiutami tu a ottenere il responso, che io sappia come dirigere le ali della mia nave, con vento favorevole, verso Cipro battuta dal mare: là Apollo mi ha ingiunto di fermarmi, là di trasferire il nome della mia isola, Salamina.
È meglio che sia la nave, o straniero, a farti da oracolo: lasciala, questa terra, fuggi prima che ti veda il figlio di Proteo, che ne è il sovrano. Ora è via, con i cani, a far strage di belve: ma ogni greco che gli capita a tiro, lo ammazza. Come mai? Non cercare di saperlo, io non te lo dico perché non ti servirebbe a niente.
Grazie, donna gentile: che il cielo ti rimeriti per le tue cortesie. Tu assomigli ad Elena nell'aspetto, ma nel sentimento, no: c'è un abisso. Che crepi, lei, che non riveda mai più le rive del suo fiume: quanto a te, signora, ti auguro le cose più belle.
La mia disperazione è orribile, da dove comincio a piangere, quale sfogo è adeguato? Devo intonare una lamentazione, con gemiti, singhiozzi, sospiri?
str.
Io voglio dolore per dolore, sconforto per sconforto: flauti, Zampogne, parallelo al mio pianto venga il concerto delle Sirene, delle alate vergini, figlie della terra. Voglio che mi accompagnino funebri cori dall'inferno: e lo darò in cambio a Persefone un inno gonfio di lacrime, che scenda per i morti fino ai palazzi della sua notte.
ant
L'acqua era azzurra, sui riccioli d'erba stendevo al raggi d'oro del sole, e sui germogli di canna, per asciugarle, le vesti rosse di porpora. Ho sentito lo strazio di disarmoniche strida: era la Spartana, urlava stravolta, come una Ninfa, come una Naiade in fuga tra i monti, per gli anfratti pietrosi, che riempie l'aria di grida per gli abbracci violenti di Pari.
str.
Preda di barbari ladroni, figlie della Grecia, un marinaio greco è venuto sin qui, ad aprirmi piaghe. Ilio crolla divorata dal fuoco; l'ho appiccato io, quel fuoco, il mio nome significa rovina.
Leda si è impiccata, si è data la morte, non ha retto all'angoscia della mia vergogna. Il mare da lui percorso in lungo e in largo ha chiuso in una bara d'acque mio marito. Sparito è Castore, sparito l'altro mio fratello, vanto della patria: non li vedono più né le pianure che risuonavano al galoppo dei loro cavalli, né lo scenario dei giovani, le palestre al bordi dell'Eurota, ricco di giunchi.
ant.
Sorte amara, destino misero è il tuo. Ti è toccata una vita che non è vita, quando ti ha procreato Zeus, scendendo lieve e niveo nel suo aspetto di cigno, da tua madre. C'è pena, o esperienza che ti sia stata risparmiata? Tua madre è perita, non conoscono sorte migliore i tuoi fratelli: secoli ti separano dalla tua terra e per le città serpeggia la voce che ti fa concubina di un barbaro; tuo marito è annegato tra i marosi, non avrai la gioia di rivedere la casa paterna, i sacri templi.
Chi, greco o frigio, ha abbattuto l'albero che fu il preludio della tempesta su Troia? Paride ne ha fatto uno scafo di morte per la sua nave e si è diretto verso il mio focolare, verso la mia bellezza fatale; voleva il mio amore. Cipride lo accompagnava, perfida e micidiale, con un funebre dono di nozze per i Danaidi.
Ma la donna che fra le sue braccia tiene Zeus aveva fulminea la risposta: Ermes, figlio di Maia. Io stavo raccogliendo petali di rose, nelle pieghe del peplo, per offrirli ad Atena: mi trascinò via, d'un tratto, Ermes, confinandomi in questa landa desolata; e divenni il pegno della grande contesa tra i Greci e Priamo. Il mio nome, presso le correnti del Simoenta, suona a vuoto.
So quello che provi: ma conviene sopportare come meglio si può le traversie dell'esistenza.
Donne care, capitano tutte a me. Appena nata ero già un miracolo per la gente: perché tutti gli altri, Greci o barbari, vengono alla luce al modo solito: io no, io nacqui in un uovo bianco, concepita da Leda grazie a Zeus. La mia vita, la mia storia hanno del prodigio, a causa di Era, a causa della mia bellezza.
Come vorrei essere deforme, un ritratto che si cancella e si rifà in peggio! Greci si scorderebbero della nomea di cui godo, conserverebbero di me un'idea pura, non questa che mi offende. Certo è grave se il cielo ti affligge con una disgrazia, e però si arriva a sopportarla: ma noi siamo immersi in un oceano di disgrazie. Io, un modello di virtù, sono disonorata: e non c'è nulla di peggio che venir accusati di colpe inesistenti. Poi, gli dei mi hanno sradicato da casa, trapiantato in mezzo ai selvaggi; non ho un amico, io, libera, sono divenuta schiava: sono tutti schiavi qui, fuorché uno.
Mi restava una sola speranza, come un'ancora di salvezza: mio marito; sognavo che sarebbe venuto a liberarmi, e adesso è morto, scomparso. Mia madre è perita, la sua morte ricade su di me, sono io l'autrice del delitto. La luce della casa, mia figlia, ingrigita languirà zitella: i miei due fratelli, i famosi Dioscuri, li ho perduti anche loro. Sì, vivo, almeno sembra, ma in realtà sono finita, con tutto questo patire. La beffa suprema: se torno in patria, mi arrestano; come fa a ritornare da Troia senza il marito, Elena? Ci fosse Menelao, i segreti gelosi che ci legano gli rivelerebbero chi sono: ancora una speranza caduta, destinata a non risorgere. Cosa campo a fare? Ho in vista una strada? Un nuovo matrimonio come rifugio dalle avversità, una brillante sistemazione alla ricca mensa di un barbaro? Ma se fisicamente un marito ti è antipatico, finisci per odiare anche il tuo corpo.
L'unico rimedio è andarsene: ma in maniera elegante. Impiccarsi? No, non c'è stile; ripugna anche agli schiavi: un colpo di pugnale ha qualcosa di nobile, di esaltante; è un modo rapido di chiudere la partita. In che baratro sono caduta: per le altre donne la bellezza è felicità, per me rovina irreparabile.
Elena, chiunque sia l'individuo sbarcato qui, non prendere per oro colato le sue parole.
Ma sulla morte di mio marito è stato esplicito.
La menzogna non sempre ha contorni oscuri.
Ma verità e chiarezza si accompagnano.
Tu credi più al male che al bene.
La paura mi irretisce, mi paralizza.
Non puoi contare su nessuno a palazzo?
Su tutti meno uno: il mio tenace pretendente.
Secondo me, dovresti... Comincia a venir via di lì...
Che storia è, che consiglio mi dai?
Rientra a palazzo, interroga Teònoe, la figlia della Nereide, della ninfa marina; lei sa tutto sulla sorte di tuo marito: se vive, se ha chiuso gli occhi; dopo potrai abbandonarti alla gioia o allo sconforto. Ma prima di scoprire la verità, cosa ci guadagni a tormentarti? Dammi retta, muoviti di lì, vai a parlare con la vergine sacra, fatti ragguagliare con precisione su tutto: hai la bocca della verità nella reggia, cosa cerchi qui fuori? Anzi, voglio venire con te, sentire anch'io il responso dell'oracolo; noi donne dobbiamo aiutarci fra noi.
Avete ragione, venite dentro, entrate, per rendervi conto delle prove che mi sono riservate.
Accetto subito l'invito.
Che giornata spaventosa.
Una sciagurata come me che altro ancora deve aspettarsi?
Non fasciarti la testa prima che sia rotta.
Cos'è successo a mio marito? È vivo? I suoi occhi scorgono il carro del Sole, il corso delle stelle, o condivide la sorte degli altri, sottoterra?
Non pensare il futuro più brutto di quello che è.
L'ho giurato, su di te, sulle tue acque verdi di giunchi, Eurota, invocandoti: se è vero che mio marito è morto...
Che idea insensata...
Mi impicco, con un laccio al collo. No, meglio un colpo di spada, il sangue che sgorga dalla gola, affonderò la lama sino in fondo: è l'omaggio dovuto alle tre dee, a Paride e alla zampogna che suo nava con tanta grazia là, vicino alle sue
stalle.
Che ricada su altre teste il malaugurio, non sulla tua.
Sventura su Troia che precipita nel nulla per un fatto non accaduto, e ha sofferto il soffribile. I miei doni d'amore comportano sangue, lacrime: Cipride si è presa in cambio lutto per lutto, pianto per pianto, angoscia. Le madri hanno perso i loro figli, le sorelle hanno gettato nei flutti dello Scamandro riccioli e ciocche per i fratelli assassinati. Grida, grida la Grecia il suo tormento, si percuote la testa, con le unghie si lacera e devasta le tenere guance.
Beata te, Callisto, vergine dell'Arcadia, in sembianze di bestia sei entrata nel letto di Zeus, meglio tu che mia madre, perché ti sei mutata in fiera irsuta e hai l'occhio lampeggiante della leonessa; ma così sei sfuggita al morso del dolore. E sei stata fortunata anche tu, Titanide, figlia di Merope; ti hanno punita per la tua bellezza, Artemide ti ha cacciato dal suo corteggio e ti ha mutato in cerva; ma io, il mio corpo, questa mia carne ha seppellito le rocche di Pergamo, ha seminato tra i Greci la morte.
Hai disputato la gara con la quadriga a Pisa, Pelope, hai vinto Enomao: ma era meglio se sparivi giovane dalla terra, prima di conoscere i favori del cielo, prima di mettere al mondo mio padre Atreo, che poi, con Erope, ha messo almondo questa nobile coppia, Agamennone e Menelao. Non lo dico per vantarmi, ma un esercito come il nostro, contro Troia, nessuno era mai riuscito a imbarcarlo: ci sarebbe voluto il terrorismo di un despota.
A me, invece, i giovani mi seguivano spontaneamente. E i morti, si possono contare, e così i combattenti felicemente scampati alle tempeste, rientrati a casa dopo che furono dati per dispersi. Io no, io continuo a essere sballottato qua e là sul mare, da quando ho distrutto Ilio, e non mi riesce di sbarcare a casa mia; gli dei non sono d'accordo. Conosco tutti gli approdi, gli approdi?
gli anfratti inospitali della Libia: e appena drizzo le vele verso Sparta, un vento dannato mi si scaglia contro, non c'è mai una brezza favorevole che mi permetta di arrivare in patria. Adesso, addirittura, ho fatto naufragio, ho perso quasi tutto l'equipaggio, la mia nave, sbattuta su questi scogli, si è infranta in tanti pezzi. È rimasta però intatta la carena, grazie a lei e alla sorte mi sono salvato assieme ad Elena; sì lei è di nuovo mia, l'ho ristrappata ai Troiani. Come si chiamino questo paese e i suoi abitanti lo ignoro: mi vergogno di rivolgermi alla gente e voglio evitare domande sul perché indosso degli stracci. Un nobile quando si trova nei guai, si sente molto più a disagio di uno che ci è abituato. Però c'è il pungolo del bisogno: non ho nulla da mangiare, non ho vestiti; non sono certo dei vestiti gli stracci miserabili che porto.
I miei abiti fastosi, i miei ornamenti raffinati se li sono inghiottiti le onde. La causa prima di tutte le mie miserie, mia moglie, l'ho nascosta in una caverna, e i compagni che mi sono rimasti hanno l'ordine di tenerla d'occhio, perché il mio onore sia salvo. Eccomi qui, solo, in cerca di qualcosa per gli amici.
Ho intravisto questo palazzo solido, col suo bel portone signorile, e mi sono diretto qui; in una magione ricca avranno pur qualcosa per dei naufraghi: da poveracci cosa ti puoi aspettare, con tutta la loro buona volontà? Ehi, portinaio, ehi di casa, non c'è nessuno che trasmetta ai padroni notizie di me e dei miei guai?
Chi è la fuori? Vattene, non startene impalato davanti alla porta a dar noia ai signori. Vuoi scavarti la fossa da solo? Sei un greco, e noi per i Greci non abbiamo troppo rispetto.
Vecchia, puoi dirlo anche in un altro modo! D'accordo, ti darò retta, ma calmati, rilassati.
Vattene: il mio compito è proprio questo, straniero: impedire l'accesso al palazzo a ogni greco.
Ferma, giù le mani, non spingere.
Colpa tua, non mi badi quando parlo.
Riferisci ai tuoi padroni...
Caro mi costerebbe riferire al padroni.
Sono un naufrago, ho diritto d'asilo.
E meglio che ti cerchi un altro asilo.
No, io mi infilo nel palazzo e tu mi stai a sentire.
Sel un bel noioso; ti butteranno fuori.
Ah, dove sono le mie truppe gloriose?
Sarai stato un grande capo da qualche parte, qui non sei nulla.
Dio mio, cosa mi tocca sentirei!
I tuoi occhi si riempiono di lacrime? Piangi? Perché?
Penso al mio prestigio di una volta.
E allora va' a piangere dai tuoi.
Ma che razza di paese è questo? Chi è il re?
Proteo, e sei in Egitto.
Egitto? O santi numi, dove sono finito.
Hai da obbiettare qualcosa sul Nilo d'argento?
Sul Nilo? No: deploro semplicemente la mia catastrofe.
Sono tanti a star male, e non tu solo.
Quel tale, come si chiama, è nella reggia?
Veramente è nella tomba; chi governa adesso è suo figlio.
Dove posso trovarlo? Dentro o fuori?
Fuori, ma attento: non può soffrire i Greci.
Perché li odia? E cosa c'entro io?
Perché qui c'è Elena, la figlia di Zeus.
Cos'hai detto? Tu stai vaneggiando. Ripeti un po'.
La figlia di Tindaro è qui: una volta stava a Sparta.
E da dove è arrivata? Che razza di assurdità.
Da dove è arrivata? Da Sparta.
Quando? Non avran mica rapito mia moglie dalla grotta?
Prima della guerra dei Greci contro Troia. Ma gira al largo: c'è una situazione, nel palazzo, che ha portato scompiglio.
Sei capitato a sproposito: se ti sorprende il padrone, ti riserva un'accoglienza molto ospitale: la morte. Io ho simpatia per i Greci, anche se i miei discorsi ti saran suonati odiosi: ma ho paura del padrone.
Sono rimasto senza fiato, non so cosa dire. I miei guai adesso stanno peggio di prima: ho ripreso mia moglie, arrivo con lei da Troia, la nascondo in una caverna, e qui nella reggia abita una donna che si chiama come mia moglie: e sarebbe anche lei, dice la vecchia, figlia di Zeus. Che ci sia, sulle rive del Nilo, un uomo col nome di Zeus? Perché in cielo, di Zeus, ne esiste uno solo.
E Sparta? L'unica Sparta sulla terra si trova sulle rive dell'Eurota dai bei canneti. E Tindaro?
C'è uno solo che si chiami Tindaro. Forse ci sono degli omonimi, due Sparte, due Troie, non mi ci raccapezzo più. A quanto pare, il mondo è grande, i nomi delle donne e delle città si ripetono: non c'è da stupirsi. Non mi lascerò intimorire dagli spauracchi agitati da una serva: non esiste un individuo così selvaggio da rifiutarmi un pasto, se gli rivelo la mia identità. Io, Menelao, l'eroe che ha dato Troia alle fiamme: l'universo conosce chi sono. Aspetterò ilpadron di casa; so bene come regolarmi: se è un tipo duro di cuore, me ne torno di soppiatto ai relitti della nave, se si rivela comprensivo, gli chiederò l'assistenza che esige la mia attuale condizione.
A che punto si riduce un poveruomo; essere re, e dover elemosinare da un altro re di che vivere: e purtroppo non c'è scelta. C'è un proverbio, molto saggio, e non l'ho inventato io: di necessità bisogna far virtù.
La vergine ispirata ha parlato, è apparsa nella reggia, ha reso noto che Menelao ancora non si aggira, ombra grigia, nell'al di là, che la terra non copre le sue spoglie: sfinito solca i flutti del mare, non riesce a raggiungere la sua città, il porto; povero e ramingo, privo di mezzi e di amici, da quando ha lasciato Troia, tocca le terre più strane.
Eccomi di nuovo qui, accanto alla tomba. Teònoe ha parlato, lei che sa tutto, e ha detto chiaro e forte che mio marito è vivo, che vede la luce del sole; peregrina per miglia e miglia in mare, naviga per dritto e per traverso in balia delle onde: ma cessate le sue peripezie un bel giorno piomberà in Egitto. Non mi ha precisato, però, se ne esce con le ossa rotte.
Mi sono trattenuta dal chiederlo: ero troppo contenta di saperlo vivo, Menelao. Sostiene che non è tanto lontano: è stato gettato a riva, naufrago, con un pugno dei suoi. Ma perché non arrivi, Menelao? Quanto lo desidero! E quell'uomo chi è? Non sarà un'imboscata del figlio di Proteo, quel miscredente? Presto, subito alla tomba, come una Baccante impazzita, come una cavalla scatenata. Che faccia losca ha quell'individuo, certo vuol mettere le mani su di me.
Ehi, fermati, invece di saltabeccare sulla tomba, la sua base, gli altari. Perché scappi? Appena ti ho visto sono rimasto pietrificato, ho perso la favella.
Mi violentano, aiuto, donne: vuole strapparmi dalla tomba, rapirmi per consegnarmi al tiranno di cui rifiuto le nozze.
Non sono un ladro, io non sono razza di furfanti.
Ma sei coperto di stracci.
Fermati, sta' calma, non correre.
Mi fermo, adesso che sono al sicuro.
Chi sei? Chi scorgono le mie pupille?
Sono io che ti chiedo chi sei.
Non ho mai visto una tanto uguale...
O dio, perché certo è un dio a far ritrovare chi si ama.
Ma sei greca o che cosa?
Greca. Ma è di te che voglio sapere.
Tu ed Elena siete due gocce d'acqua.
Anche tu e Menelao: sono senza fiato.
Hai riconosciuto in me l'uomo più sfortunato del mondo.
Sei tornato, tornato tra le braccia della tua diletta sposa.
Di che sposa parli? Non mi toccare, sai.
Di che sposa? Della figlia di Tindaro, l'uomo che mi ha consegnato a te.
Vergine santa, mandami degli spettri più benevoli.
Io non sono un fantasma d'oltretomba.
Non sono il marito di due mogli, io.
Come, come? Saresti bigamo? Dov'è l'altra?
In una grotta, nascosta, e mi vien dietro dalla Frigia.
Bada, tua moglie sono io e nessun'altra.
Sano di mente, mi credevo! No, soffro di allucinazioni.
Sono io, sono qui. Non vedi che hai davanti tua moglie?
Sì, di fisico le assomigli, ma c'è qualcosa che non va.
Guardami, dunque. Ma che altro vuoi? Chi mi conosce meglio di te?
Le assomigli, sì, non lo nego...
Vuoi prestar fede, o no, ai tuoi occhi?
Il fatto è che io ho un'altra moglie.
A Troia, non ci sono mai venuta io, ma una mia parvenza.
E chi le produce le parvenze che si incarnano?
L'aria. Gli dei, coll'aria, ti hanno fabbricato una compagna di letto.
Quale degli dei? Stai dicendo delle cose assurde.
Era creò un simulacro, perché Paride non avesse me.
Dunque tu ti trovavi, nello stesso tempo, qui e a Troia?
L'ubiquità caratterizza i nomi, non i corpi.
Smettila, ho già troppi fastidi.
Così mi pianti, e ti porti dietro una finzione?
Amica, stammi bene, visto che assomigli ad Elena.
Sono rovinata: ho ritrovato mio marito e lo perdo subito.
Per convincermi contano i guai che ho passato, non le tue chiacchiere.
Che disastro. Nessuno è più disgraziato di me. L'essere più caro mi abbandona, i Greci non li rivedrò mai più, mai più
rivedrò la mia terra.
Menelao, finalmente ti trovo: è un pezzo che ti cerco su e giù per questi luoghi barbari: mi mandano da te i compagni
rimasti.
Cos'è successo? Un attacco degli indigeni?
Un miracolo; no, questa parola non dice abbastanza.
La tua enfasi tradisce strane novità.
Tutto quello che abbiamo patito, l'abbiamo patito per nulla.
Acqua passata: vieni al sodo.
Tua moglie è sparita, è scomparsa lassù, nelle pieghe dell'aria, si è dissolta in cielo. Mentre lasciava la benedetta caverna in cui la tenevamo, ha detto: "Poveri Frigi, poveri Greci; vi siete scannati sulle rive dello Scamandro per una beffa della sposa di Zeus: credevate che Elena fosse di Paride e non c'era niente di vero.
Il mio tempo si è compiuto, sono rimasta con voi quanto dovevo, ora risalgo presso il mio padre celeste: e la sfortunata figlia di Tindaro è coperta di infamia senza colpa." Salve, figlia di Leda; ma tu eri qui? E io che venivo ad annunziare la tua ascesa fra le stelle! Però, se sei già qui devi avere le ali. Ma bada, non ti permetterò di giocarmi una seconda volta: troppo male hai già fatto sotto Ilio, a tuo marito e ai suoi compagni.
Ma allora corrisponde! Dunque, erano veri i discorsi di questa donna. O giorno tanto sospirato che mi concede di serrarti di nuovo sul mio petto.
Menelao, amore, finalmente, dopo un tempo interminabile, eccomi felice. È mio marito, amiche, e io con gioia gli protendo le braccia, lo stringo, dopo che tante volte il sole ha acceso la sua fiaccola sul mondo.
Anch'io protendo a te le braccia: e ho tante cose da dire che non so da dove cominciare.
Fremo di letizia, i capelli mi si rizzano sul capo, le lacrime mi bagnano, mentre stringo il tuo corpo, per goderti, mio carissimo sposo.
Visione adorata, di cosa posso mai lamentarmi? È mia la figlia di Zeus e di Leda: felice ti salutarono un giorno al fiammeggiare delle torce i tuoi fratelli, sui loro bianchi corsieri. Se un dio ti ha separato da me, fu per sospingerti verso un destino più alto.
Una fortunata disavventura ci riunisce, mio sposo, purtroppo dopo tanto tempo, ma benedico questa disavventura.
Giusto, mi unisco anch'io: contento uno, contenti tutti.
Amiche, quello che è stato è stato, non me ne rammarico più. Ho recuperato mio marito, e da quanto, da quanto aspettavo che tornasse dalla guerra.
Tu hai me, io ho te: dopo tanto levarsi e tramontare di stelle, ho capito finalmente l'inganno della dea. Piango di gioia; sì, è la gioia, non la pena, che mi sopraffà.
Non trovo le parole. Ma chi se lo sarebbe mai immaginato? Ti stringo fra le braccia io, mentre avevo perduto ogni speranza.
Anch'io, era tutta un'invenzione che tu fossi andata a Ilio, che fossi fra le sue mura... Ma, per gli dei, come hanno fatto a portarti via di casa?
Perché rivangare malinconie?
Parla: i benefici del cielo bisogna pure ascoltarli.
Mi angoscia entrare in argomento.
Parla lo stesso: è bello ricordare quanto si è penato.
Non volgeva la nave a letti giovani di un selvaggio, l'amore non trasvolava a un adultero amplesso...
Che forza superiore o che rio destino ti ha strappato alla tua terra?
Marito mio, fu il celeste figlio di Zeus e di Maia, fu Ermes a trasportarmi sul Nilo.
Fantastico. E chi lo mandava? Che storia incredibile!
Quanto ho pianto, quanto piango: la colpa è tutta della moglie di Zeus.
Di Era? Ma noi, cosa c'entravamo?
Le mie disgrazie sono cominciate con quel bagno fatale, con quei corpi divini esposti al sole, tre dee rivali in bellezza.
E come mai Era si è vendicata su di te per il verdetto sfavorevole?
Per farsi gioco di Paride.
Spiegati meglio.
Cipride mi aveva promessa a Paride.
Povera sposa mia!
Povera, sì: così mi ha scaraventato in Egitto.
E ha destinato a Paride un fantasma, a sentir te.
Le disgrazie di mia madre, a casa, le disgrazie: come sono sfortunata!
Cosa dici?
È morta Leda, si è impiccata per non sopravvivere al disonore.
Oh no! Ma nostra figlia Ermione è ancora viva?
Sì, ma senza marito, senza figli; e con tutto il dolore e la vergogna del mio adulterio che non è ad ulterio.
Maledetto Paride, tu hai distrutto il mio focolare da cima a fondo, ma la rovina ha travolto anche te, insieme alle migliaia di Greci dalle armi di bronzo.
Mi ha gettato il malocchio una dea, mi ha reso infelice, mi ha tolto la mia patria, la mia città, il mio sposo, costringendomi a lasciare casa e letto. Ma non li ho lasciati per un vergognoso connubio.
Se d'ora in poi le cose vanno per il verso giusto, il futuro sarà un compenso del passato.
Menelao, vorrei unirmi anch'io al vostro gaudio, ma ci capisco poco o nulla.
Ma allora non hai ascoltato!
La posta della lotta intorno a Ilio, non era questa donna?
No, non era lei; ci hanno imbrogliato lassù; e noi, tra le nostre mani, abbiamo stretto un'ombra.
Perdona, avremmo sofferto tanto per un'ombra?
Un capolavoro di Era, diretta conseguenza della sua lite con le colleghe.
E questa qui è realmente tua moglie?
È lei, ti do la mia parola.
Figlia mia, com'è intricato e impenetrabile il dio. Ci sbalestra e ci frulla come gli pare: ci riempie di guai, o non ci riempie di guai, ma poi uno crepa malamente, e nessuno è sicuro del domani! Le avete passate le vostre traversie, tu e tuo marito, lui sui campi di battaglia, tu in un groviglio di calunnie. Con tutti i suoi sforzi, cos'ha ottenuto Menelao?
Nulla: e poi tutto è andato a posto da solo, nel modo migliore. Tu non hai gettato fango su tuo padre e sui tuoi fratelli: sei innocente tu delle accuse che ti facevano.
Rinnoviamola, dunque, la festa delle tue nozze! Io correvo, me lo ricordo, con la fiaccola accanto alla tua carrozza, un tiro a quattro, mentre tu, vergine, lasciavi la tua casa felice, al fianco di Menelao. Uno schiavo deve regolarsi sulla sorte dei padroni, rallegrarsi con loro, piangere con loro.
Io sono nato servo, ma vorrei essere contato tra i servi di un certo livello, schiavi nel corpo, liberi nella mente. Almeno questo: altrimenti cosa resta? Il danno e le beffe: si nutrono sentimenti bassi e si deve obbedire a Tizio e a Caio, perché questo vuole la tua condizione sociale.
Vecchio, pensa a tutte le fatiche che hai sofferto, in armi al mio fianco e al mio servizio: e ora goditi la mia felicità, ma corri a informare i compagni di come hai trovato le cose e come vanno. Restino sulla spiaggia, in allarme di fronte al possibili pericoli: cerchiamo di portar via a questa gente Elena, e visto che si è tutti nella stessa barca, di non cadere nelle mani dei barbari, se ci riusciamo.
Sono pronto, signore. Lo so, adesso, cosa valgono le cose che dicono i profeti: menzogne. Non si ricava niente di sicuro scrutando il gioco delle fiamme o il volo degli uccelli: vederci un indizio, un messaggio è roba da idioti. Calcante, l'indovino greco, non ha speso una parola per mettere in guardia i soldati che morivano per un fantasma, e neanche Eleno, l'indovino troiano: zitto anche lui.
Troia è stata distrutta per niente. Diciamo che un dio ha deciso così. Ma a cosa servono, allora, gli indovini? È meglio rivolgersi agli dei, blandirli con sacrifici e chiedere loro pace e bene: e lasciamoli perdere gli oracoli. È solo un'esca a danno degli uomini; chi non si dà da fare, poco lo aiutano i presagi: cervello e senso pratico, sono questi i maghi del futuro.
La penso come il vecchio: avere gli dei come alleati, questo sì è certezza del domani.
Va bene: fin qui le cose sono andate lisce. Sapere come ti sei salvato dopo Troia, povero caro, non è che serva a molto, ma è bello, è bello sapere cosa ha passato il mio amore.
Troppo esigi sui due piedi! Ne avrei tante da raccontare: naufràgi nell'Egeo, i fuochi di Nauplio, Creta, Libia, città, città, città, il promontorio di Perseo; e non ti direi mai abbastanza. Parlare è ripatire quello che ho patito, ricominciare da capo.
La tua risposta è più saggia della mia domanda. Un solo particolare: per quanti anni sei andato alla deriva in balia delle onde?
Fa' tu il conto: dopo i dieci anni di Troia, metticene altri sette.
Molto tempo, troppo, amore mio. E tutti questi rischi li hai superati egregiamente per arrivare qui a farti assassinare.
Come, come? Cosa dici? Resto annichilito.
Scappa, vattene via al più presto di qui. Altrimenti, il padrone di questo palazzo ti scanna.
Perché? Ho commesso qualche crimine?
Sei giunto inatteso a impedire le mie nozze.
C'è forse qualcuno che vuol sposare mia moglie?
Certo, e mi infligge una violenza che devo subire.
È un privato molto potente o è il signorotto locale?
È l'attuale sovrano, il figlio di Proteo.
Ora apro gli occhi, ecco cosa voleva dire la vecchia.
Ma a quale porta avevi bussato?
A questa; e mi hanno buttato fuori come un pitocco.
Povera me! Hai chiesto l'elemosina?
L'espressione è impropria, ma di fatto...
Così del mio matrimonio sai tutto.
Ma non ho capito se gli hai detto di sì.
No, non temere: non è stato macchiato, il tuo letto.
E chi me ne dà garanzia? Sarebbe bello, se fosse vero.
Non vedi il giaciglio che mi sono preparata qui?
Vedo un tappeto di foglie; cosa c'entra con te?
È il mio rifugio contro la violenza erotica.
Perché mancano gli altari, o è l'uso barbaro?
Questo giaciglio mi ha protetto meglio di un altare.
E a casa con me non posso riportarti?
Ma qui ti aspettano, non le mie carezze, ma colpi di spada.
Così la misura sarebbe colma.
E allora scappa subito, senza ritegno.
E lascio te? Ma se per te ho smantellato Troia!
Ora devi fuggire, non c'è scelta: il mio letto sarebbe la tua tomba.
L'eroe di Troia non può fuggire.
Anche se vuoi ammazzarlo, il re, non ci riesci.
Perché, lui è invulnerabile?
Te ne accorgerai: rischiare l'impossibile non è da persona intelligente.
Tanto vale che io stenda le mani, perché me le leghino.
È una situazione balorda: ci vorrebbe un'idea.
È meglio agire e morire, che accettare la morte.
Forse ci sarebbe una via d'uscita, una sola.
Denaro? Colpo di mano? O trattative diplomatiche?
Non deve sapere che sei qui.
E chi glielo dice? Lui non mi conosce.
Ha un'alleata che è quasi divina.
Ha in casa un oracolo personale?
Si tratta di sua sorella. La chiamano Teònoe, "Mente divina".
Il nome è tutto un programma: ma in concreto, cosa fa?
Sa tutto, e rivelerà al fratello che sei qui.
Sarebbe la fine: ingannarla mi par difficile.
Se riuscissimo a furia di preghiere...
A cosa? Che speranza mi fai balenare?
... a farle tacere che sei qui.
Se lei si convince, sarà possibile fuggire, dopo?
Col suo consenso, sì, di nascosto no.
Affare tuo; le donne tra di loro si intendono.
Mi getterò ai suoi piedi.
E se non ci sta a sentire?
Morirai: e io, povera donna, sarò costretta a sposarlo.
Costretta. Traditrice! Il tuo è un pretesto.
Giuro sulla tua testa il più nobile dei giuramenti...
Di morire? Di non entrare nel letto di un altro?
Di morire, con la tua spada, accanto a te.
Qua la mano, allora.
Pronti: se tu muori, io lascerò la vita.
Senza di te, metterò fine alla mia.
Però ci vorrebbe una morte con nobile alone di gloria.
Colla tomba alle spalle, ti uccido e mi uccido. Ma prima, la grande tenzone: mi batterò in onore del tuo onore. Si faccia avanti chi vuole! Non getterò fango sui galloni che ho conquistato a Troia, non tornerò in Grecia col nome infamato. Grazie a me Teti ha perso Achille, io ho visto crepare Aiace, io ho orbato Nestore del figlio, e non avrò il coraggio di procombere per la mia sposa? Certo che sì. Saggia è la man o di dio: il cielo riserva onorata sepoltura all'eroe che cade sotto i colpi nemici, i vili giacciono disprezzati nell'infamia.
Oh, se una volta andasse bene alla razza di Tantalo e cambiasse direzione il vento!
Oh, povera me: oh, che disgrazia! Menelao, è la fine: sta per uscire dal palazzo Teònoe, la maga: sento il rumore dei chiavistelli. Scappa. No, non serve. Lei sa già del tuo arrivo, che ti veda o non ti veda: sono rovinata, rovinata. Sei scampato al massacro a Troia per farti scannare qui, in un paese di bruti.
Guidami, con la fiaccola ben alta, agita il turibolo, come esige il rito, che sia incorrotta l'aria che respiro; e tu purifica con la fiamma la strada, se mai l'abbia contaminata piede indegno, spargi al suolo, davanti a me, aghi di pino. Reso agli dei il tributo, riportate a palazzo il fuoco sacro. E allora, Elena, che te ne pare dei miei vaticini? Eccolo qui tuo marito, in carne e ossa, e la sua nave l'ha persa, ha perso la tua sosia.
Sin qui sei giunto attraverso mille traversie, Menelao, e ora non sai se dovrai restarci o se potrai tornare in patria. Proprio oggi si riunisce un'assemblea, lassù, per decidere su di te, ordine di Zeus, e le acque sono agitate. Colei che una volta ti osteggiava, Era, adesso è tutta per te e si batte per il vostro rientro a Sparta, sani e salvi: così denuncia ai Greci che si trattava di un matrimonio finto, per Paride: che bel regalo di Cipride! Cipride, invece, sabota il tuo ritorno: non vuole salire sul banco degli accusati, che si sappia come ha ottenuto la vittoria, pagando in moneta falsa, con le nozze immaginarie di Elena. L'ago della bilancia sono io: se sto dalla parte di Cipride, dovrò rivelare a mio fratello che sei qui, e ti rovino; se sto con Era, invece, mi sarai debitore della vita; basta che taccia la tua presenza a mio fratello, violando il suo preciso ordine di tenerlo informato... Che qualcuno vada dal re e gli comunichi che Menelao è sul suolo egizio; non voglio correre rischi.
Sacerdotessa, mi butto al tuoi piedi - non è una posizione comoda - e ti supplico per me e per lui: l'ho appena ritrovato e già corro il rischio di perderlo. Non raccontare a tuo fratello che stringo Menelao tra le mie braccia amorose: ti prego, sii clemente; non sacrificare a tuo fratello la tua pietà di un tempo, in cambio di una gratitudine iniqua, perversa.
Dio odia violenza e prepotenza, vieta i guadagni ingiusti. Gli illeciti profitti, meglio lasciarli perdere. Il cielo è di tutti, e la terra anche: riempiti pure la casa, ma non a spese del prossimo, non colla violenza. Per fortuna, e però anche per mia disgrazia, Ermes mi aveva affidato a tuo padre, in custodia, per mio marito, che adesso viene a ritirarsi il suo. Se lui muore, come la mettiamo? Cosa farà il custode? Consegna un vivo a un cadavere? Avanti, mettiti nei panni del dio e di tuo padre: la roba degli altri, loro due, intendono restituirla o tenersela? Restituirla, credo.
Non preferire un fratello stolto a un padre saggio! Hai preso i voti, credi in dio e tradisci il dovere di tuo padre, copri le prepotenze di un fratello reprobo. Bel risultato, conoscere i misteri celesti, presenti e futuri, e ignorare le leggi della giustizia! Ma guarda come sono ridotta, in che stato, dammi una mano, lascia che si spezzi la catena delle mie disgrazie. Elena la detestano tutti; sono famosa in tutta la Grecia: sono quella che ha piantato il marito per sistemarsi nei lussuosi palazzi della Frigia. Se rivedo la Grecia, se rimetto piede a Sparta, lo capiranno tutti, finalmente, che era tutta una macchinazione dall'alto, che io non ho tradito i miei cari: sarò riabilitata, troverò un marito per mia figlia, oggi nessuno la vuole; cesserò di mendicare amaramente la vita, rientrerò in possesso del mio patrimonio.
Ma pensa! Se Menelao fosse stato trafitto sui campi della Frigia, che funerali gli avrei celebrato, splendidi, disperandomi per l'eroe caduto oltremare. Ora è qui, tutto intero, e me lo vuoi portar via. Non farlo, ti prego, vergine santa: concedimi questa grazia e segui i principi di tuo padre, che era un galantuomo: cosa c'è di più bello di una gara di onestà tra padri e figli?
Il discorso che hai pronunziato è commovente, e provo pietà per te. Però vorrei anche sentire Menelao, cosa argomenta per tirarsi d'impaccio.
Io non intendo cadere al tuoi piedi con gli occhi umidi di lacrime: sarebbe una vergogna, una viltà per uno che è stato a Troia. Per quanto si ammetta, da molti, che un individuo di alto lignaggio può, nei momenti più gravi, abbandonarsi al pianto. Io non mi sento di anteporre uno sfogo, chiamiamolo pur bello, a un contegno virile. Se credi tuo dovere risparmiare uno straniero che a ragion veduta reclama sua moglie, restituiscimi Elena e garantiscimi la vita: altrimenti una nuova disgrazia verrà ad aggiungersi alle altre che mi sono toccate; ma tu, allora, come ne uscirai? Di sicuro come una donna di scarso valore.
Per il rispetto che ho per me stesso e per la giustizia, e nella convinzione di far breccia nel tuo cuore, non posso non esclamare, cadendo in ginocchio sulla tomba di tuo padre: "Vecchio, che dimori in questo tabernacolo di marmo, rendimi, ti prego, mia moglie: è stato Zeus a mandartela qui, perché tu me la custodissi. Capisco che sei defunto, e che quindi ti è difficile saldare il tuo debito: ma tua figlia non può macchiare l'onorato nome del padre, a cui faccio appello nell'al di là: perché tutto dipende da lei, adesso." Signore delle tenebre, invoco anche il tuo aiuto: questa mia spada ha falciato per te in nome di Elena una messe di uomini; tu l'hai avuto il tuo guadagno, e dunque, o li rispedisci tutti indietro, vivi, o costringi questa donna a mostrarsi pia quanto suo padre e a riconsegnarmiElena. Se mi depredate della mia consorte, preciserò alcuni punti che lei ha tralasciato nel suo intervento.
Ci siamo impegnati giurando - è bene che tu lo sappia - a uno scontro armato con tuo fratello, e senza via d'uscita: o lui o io. Se poi rifiuta di battersi, e cerca di piegarci per fame bloccandoci in questo sacrario, la nostra risposta è già stabilita: ammazzo Elena e poi mi trapasso il cuore con la spada, questa bella spada a due tagli. Rivi di sangue sgorgheranno sul sepolcro di Proteo: due cadaveri giaceranno uno accanto all'altro sopra il marmo levigato, per tuo eterno rimorso, e a disdoro di tuo padre.
Questa donna è mia e non l'avrà in sposa tuo fratello né qualche altro tuo parente: me la porto via con me, o in patria, o all'inferno. Ma cosa vado blaterando? Se per arma avessi scelto le lacrime come una donna, avrei ottenuto più effetto che con queste incalzanti dichiarazioni. Toglici pure di mezzo, se vuoi: cadremo con dignità. Ma è meglio se ti lasci convincere: dimostrerai amore per la giustizia, e io riavrò la mia legittima consorte.
A te, giovane donna, sei tu l'arbitro della situazione: decidi in modo da accontentare tutti.
Per natura sono timorata di dio, non voglio cambiare; e ho molta dignità, non getterei mai fango sul nome di mio padre; respingo l'idea di connivenza con mio fratello a scapito della mia reputazione. Ho eretto in cuore un tempio allagiustizia; una dote che ho ereditata dal nonno, e per questo tenterò di garantire l'incolumità di Menelao.
Mi schiererò a fianco di Era, visto che ti è favorevole, augurandomi di non perdere la benevolenza di Cipride, che però non è della mia parrocchia, visto che ho fatto voto di castità. Non senza violenza ti sei appellato a mio padre, ma io sono d'accordo: sarebbe un grave torto sottrarti a Elena. Se fosse campato, Proteo avrebbe restituito lei a te e te a lei.
C'è una sanzione per gli obblighi violati e si applica tanto a chi è ormai al di là che a chi è di qua: nei defunti non sopravvive il pensiero individuale, ma si sono riuniti all'eterno, e eterna consapevolezza dura in loro. Per non pontificare troppo: manterrò il silenzio che mi chiedete; mi dissocio dalla follia di mio fratello. Gli rendo un eccellente servizio, suo malgrado, se di un sacrilego faccio un uomo onesto.
Sta a voi, adesso, studiare una via d'uscita: io mi tiro da parte, mi cucio la bocca.
Elena, il primo passo è una bella preghiera, a Cipride, perché ti permetta di rivedere i tetti di casa tua, a Era, che non receda dai suoi buoni propositi nei confronti tuoi e di tuo marito. Padre, padre che ho purtroppo perduto, per quello che dipende dalle mie forze, mai sarai accusato di empietà, tu, che eri tanto devoto.
La disonestà non paga mai; la salvezza puoi sperarla solo attraverso la giustizia.
Menelao, per quanto riguarda Teònoe, siamo a posto. Ora tocca a te. Suggerisci un rimedio, escogita un piano per cavarcela.
Senti, è tanto che sei qui, hai familiarità con il personale della reggia?
Perché me lo chiedi? Mi sbaglio, o hai in mente un'azione utile per te e per me?
Riesci a convincere gli addetti alle scuderie a cederci un tiro a quattro?
Forse sì: ma è una fuga condannata in partenza; non conosciamo la pianura egiziana.
Già, è impossibile. E se mi nascondo in casa e, con la spada in pugno, salto addosso al re?
Non credo che lei lo permetterebbe; se pensa che vuoi ammazzare suo fratello, parlerà.
Il guaio è che non possediamo neanche una nave per prendere il largo: la mia è in fondo al mare.
Stammi a sentire, anche se è il consiglio di una donna. Cosa ne dici di farti passare per morto?
Porta iella: ma se conviene, vivo e vegeto come sono, son disposto a fingermi defunto.
E noi coi capelli tagliati, piangendo mettiamo su una bella scena di disperazione, davanti a quel sacrilego.
Non credo che possa funzionare. Il trucco mi sembra vecchiotto.
Chiederò al sovrano, visto che sei annegato, di onorarti con una tomba vuota.
Mettiamo che dica di sì: ma che ce ne facciamo di una tomba, quando abbiamo bisogno di una nave?
Lo pregherò di darmene una, per sistemarci le corone, gli arredi per il rito funebre, che voglio celebrare al largo.
Tu ragioni bene: ma se lui ti propone di seppellirmi in terra ferma?
L'usanza greca, gli diremo, vieta l'inumazione per chi è morto per acqua.
D'accordo, tu sistemi la faccenda nave, e io salgo a bordo con te e con gli aggeggi per la cerimonia.
Non da solo: devi tenerti pronto con i tuoi compagni scampati al naufragio.
Dunque, tu procuri una nave all'ormeggio, io provvedo a un bel gruppo di armati.
Tu controlla tutto: e poi che il vento sia propizio e via veloci.
E così sia. La fine del mio patire mi verrà dall'alto. Dirai che sono morto: ma da chi l'hai saputo?
Da te, no?
Da me?
Tu sei l'unico superstite, con i tuoi occhi hai visto affogare Menelao.
Giusto, e questi stracci sono la prova del disastro.
Che fu provvidenziale, anche se allora provvidenziale non ti sarà parso. Quella disgrazia promette di essere un colpo di
fortuna.
Che faccio? Vengo con te a palazzo, o me ne sto qui presso la tomba?
Resta qui: se ha brutte intenzioni, hai una doppia difesa, la tua spada e la tomba. Io rientro a palazzo, do l'addio al miei riccioli, mi infilo un abito da lutto; mi graffio a sangue le guance. La posta in gioco è molto alta, i casi sono due: o mi scoprono e ci rimetto la vita, o riesco a tornare a Sparta, con te sano e salvo.
Patrona santa, che siedi al fianco di Zeus, Era, concedi a due sofferenti sollievo dalla loro angoscia, ti preghiamo levando le braccia verso le stelle che ornano il cielo, tua dimora. E tu, Cipride, che devi il tuo trionfo alle mie nozze, ti prego, non infierire su di me. Sono già tanto provata, tra i barbari hai fatto strazio del mio nome, se non del mio corpo.
Se vuoi finirmi, lasciami almeno chiudere l'esistenza in patria. Inganni d'amore, subdoli raggiri, filtri rossi di sangue nelle case sono il tuo retaggio: sei così avida di male? Perché? Se tu sapessi frenarti, saresti, tra gli dei, l'essere più caro agli uomini: non posso negarlo.
str.
Macchie fitte di fronde,
e l'usignolo vi risiede,
nel suo regno di armonia
leva limpido, doloroso il canto.
Lui invoco qui presso a me;
dalla sua gola erompa un tumulto di note,
accompagni il mio grido
sul male di Elena,
sull'angoscia delle donne di Ilio
per le vite stroncate dagli Achei.
Correva sulla sua nave barbara,
tra sciabordìo d'acque,
toccava il porto, lo toccava
e portava ai Priamidi
il lutto dell'amore di Elena,
Paride,
scortato da Afrodite, sposo per nozze di sangue.
ant.
Molti gli Achei trafitti da spade,
schiacciati da massi,
le bocche mordono la terra crudele,
le donne si sono recise le chiome,
deserte sono le stanze delle case.
Gli Achei. Ha illuminato col rosso dei fuochi
l'Eubea il signore dell'isola,
a fauci di scogli ha dirottato
i Greci, li ha gettati
con luci illusorie contro strapiombi dell'Egeo.
Soffiano venti impetuosi sul capo Malea
respingono lontano dalla patria Menelao: la sua nave trasporta
preda di una scorreria di selvaggi
- preda no - trappola,
un fantasma, uscito dalle pie mani di Era.
str.
L'eterno, il caduco, il transitorio.
Ci si interroga, macera,
restano senza risposta
le azioni degli dei,
mutevoli, cangianti,
capricciose, inattese,
di esito opposto.
Tuo padre, Elena, è Zeus,
dall'alto è sceso nel grembo di Leda,
sei sua figlia. Ma il tuo nome
suona vergogna, tradimento, in Grecia,
infedeltà, sacrilegio. Tra gli uomini
l'evidenza, per me, si offusca: ma il verbo
divino - da tempo lo so - è verità.
ant.
Sciocchi cacciatori di gloria in guerra,
con impetuosi assalti di spade,
non metterete la parola fine
alle miserie della gente;
se bastasse un gesto di forza a decidere,
violenza dovunque fronteggerebbe violenza;
colle loro lotte i Priamidi
si sono guadagnati il posto tra i morti;
si poteva trattare,
trovare un accordo ragionando .
L'Ade li ha accolti ora fra le sue braccia
sulle mura le fiamme si sono avventate
come folgori, dolore
chiama dolore per te, Elena,
e roco compianto funebre.
Salve, tomba paterna: ti ho tumulato apposta, Proteo, vicino alla reggia per poterti rendere l'omaggio della mia voce.
Ogni volta che esce e entra a palazzo, tuo figlio Teoclimeno presta a te il suo ossequio. Schiavi, sbrigatevi a sistemare nelle scuderie cani e lacciuoli. Io ho molti rimproveri da muovermi: ai furfanti, la pena di morte non la infliggo più? Un greco, mi dicono, è comparso in questi paraggi, ha eluso la vigilanza delle mie guardie; è una spia, un rapitore di Elena.
Se lo catturo, morrà.
Ma a quanto pare, i giochi sono fatti: il posto di Elena, accanto alla tomba, è vuoto; l'hanno imbarcata, ha lasciato l'Egitto. Presto, giù le sbarre, fuori carri e cavalli; non voglio che la portino via dall'Egitto, la mia Elena, non lascerò niente di intentato. Un momento: stanno uscendo da palazzo, loro, non sono scappati, non c'è bisogno di inseguirli. Ma perché indossi gramaglie e non i soliti abiti bianchi? E cos'è questo scempio dei tuoi splendidi capelli? Come mai piangi che sembri una fontana? Sei ancora scossa da un incubo? O qualche notizia ti ha sconvolta, a palazzo?
Mio signore, perché ora ti chiamo così, per me è finita; ho perso tutto, sono annientata.
Ti è successo qualcosa? Una disgrazia?
Menelao, le parole mi escono a stento di bocca, è morto.
Magnifico, anche se non è corretto da parte mia dirlo. Da chi lo hai saputo? Teònoe, forse?
Da Teònoe e da uno che ha veduto.
Come? C'è qui uno che ti ha riferito?
C'è, e che vada a finire dove gli auguro.
Chi è, dov'è? Voglio sapere tutto.
Se ne sta lì, rannicchiato, presso la tomba.
Dio, che razza di stracci ha addosso!
E io mi vedo davanti, così, mio ma rito!
Ma chi è questo tipo, da dove sbuca?
Era insieme a mio marito: è greco.
Secondo la sua versione, come sarebbe morto, Menelao?
Nel modo più orribile, travolto dalle onde.
In che acque stava navigando?
È stato sbattuto contro gli scogli della Libia.
Se era a bordo, lui, come mai si è salvato?
La gente da poco, qualche volta, se la cava meglio degli eroi.
Il relitto della nave dove si trova?
Dove sarebbe dovuto crepare lui, non Menelao.
Chi giace, giace. Come è arrivato sin qui?
Dice che lo hanno accolto dei marinai.
E quel bell'omaggio spedito ai Troiani al posto tuo?
Il fantasma, la nuvola? Dileguata nell'aria.
Priamo, Troia: che fine inutile.
Anch'io ci ho avuto la mia parte.
Tuo marito ha ricevuto onori funebri?
No, una disgrazia tiene dietro all'altra.
Ecco perché ti sei sconciata i capelli.
Un essere caro è sempre caro e presente.
Ma ce l'hai proprio ragione di disperarti?
Secondo te, è facile ingannare tua sorella?
Penso di no. Allora? Tra me e te ci sarà sempre una tomba?
Perché mi prendi in giro? Perché non lasci in pace i morti?
Tu resti fedele a tuo marito, mi eviti.
Hai ragione, la smetto: su, da' via libera ai preparativi per le nozze.
L'idea è buona, anche se tardiva.
Mettiamo una pietra sul passato.
D'accordo, ma io, in cambio, cosa ci guadagno?
Facciamo la pace, riconciliati con me.
Basta con il rancore, lo seppellisco.
Se mi sei legato davvero, ti supplico...
Adesso ti butti ai miei piedi? A cosa miri?
Il mio povero marito, lo voglio seppellire.
Ma come? Vuoi seppellire uno che non c'è? O vuoi destinare un sarcofago a un'ombra?
Tra i Greci, c'è un'abitudine se uno è scomparso in mare...
Quale? Sono abili i Greci.
... di rendere gli onori funebri a un semplice sudario, senza il corpo.
Erigi il tumulo dove credi.
Ma non si fa così per i naufraghi, da noi.
E come? Non sono pratico, io, degli usi greci.
Si affidano al mare gli oggetti di rito.
E allora, cosa dovrei metterti a disposizione?
Non lo so, non mi ci sono mai trovata, chiedilo a lui.
Amico, tu mi hai portato una buona notizia.
Non per me e per chi è morto.
Come vi regolate nelle cerimonie per i naufraghi?
In base al patrimonio di ciascuno.
Se è questione di denaro, chiedi pure: per lei, qualunque spesa.
Si comincia sacrificando ai defunti.
Che cosa? Spiega e ti accontenterò.
Sta a te decidere: la tua offerta andrà bene.
Noi, gente barbara, immoliamo un cavallo o un toro.
Purché si tratti di un animale di razza.
Ho molte mandrie di gran pregio.
Ci vogliono, poi, dei drappi; è un omaggio simbolico.
Li avrai: che altro?
Armi di bronzo battuto: era un eroe.
Darò armi degne dei Pelopidi.
E, naturalmente, fiori e frutta.
E per calarli in mare?
Occorre una nave e un equipaggio.
Distanza da terra?
Si deve intravedere appena la scia della nave.
Questa poi! E per che motivo?
Perché non vengano spinte a riva le vesti vuote.
Avrai il più veloce tra gli equipaggi fenici.
Un tributo degno e ben accetto a Menelao.
La presenza di Elena è indispensabile? Non basti tu?
È un compito riservato alla madre, o alla moglie, o ai figli.
Insomma, sarebbe suo ingrato dovere seppellire il morto.
Pietà vuole che non si defraudino i defunti degli onori ad essi dovuti.
Va bene: è mio interesse avere una moglie timorata di Dio. Entra a palazzo, amico, e prendi tutto quello che serve a onorare l'estinto. Non ti lascerò partire a mani vuote dalla mia terra, se accontenti Elena. E visto che mi hai portato buone notizie, avrai un abito al posto dei tuoi cenci, e dei viveri per il viaggio: ora come ora ti vedo proprio malconcio.
Cara, non continuare a tormentarti inutilmente: giace in fondo al mare, Menelao, un defunto non può tornare in vita.
È tuo dovere, donna. Lo sposo che hai qui, amalo, e lascia perdere quell'altro; in questi casi è l'unica soluzione. Se riesco a arrivare sano e salvo in Grecia, metterò fine alle maldicenze sul tuo conto: naturalmente se sarai per tuo marito la moglie che lui si aspetta.
Così sia. Mio marito non avrà nulla da rimproverarmi; stammi vicino e ne avrai la prova. Intanto, entra in casa, rinfrescati, cambiati gli abiti. E tu, Teoclimeno, non tarderai ad avere da me la ricompensa che ti meriti: renderai più volentieri al mio amato Menelao servizi preziosi, se mi comporto con te come bisogna.
str.
La madre degli dei
si avventa con folle corsa
dai suoi monti, per valli folte
su acque veloci di fiumi,
sulle onde violente del mare
disfatta dal desiderio
della figlia (altra come lei non c'è)
perduta.
Stridule,
penetranti crepitano le nacchere;
ha aggiogato belve al suo carro,
cerca le tracce della creatura
strappata a danze giovanili.
Come turbini piombano al suo fianco
Artemide, Atena
con l'arco, con lancia e corazza.
Zeus che risplende nei cieli ha deciso altrimenti.
ant.
Si arresta la corsa
confusa
dietro introvabili indizi
(rapita a tradimento, sparita):
inutilmente tentati
nel cieco soffrire
persino i ghiacci dell'Ida,
crolla su rocce e neve.
Sterile è la terra, inaridita;
condanna, la dea, la razza
degli uomini,
nega alle bestie
fiorire di verdi pascoli,
la vita si estingue nelle città,
non si alza fumo di sacrifici,
gelidi gli altari, senza offerte;
ferma il respiro umido
delle sorgenti la dea,
non sa dimenticare l'angoscia.
str.
Ha interrotto feste e conviti
li rifiuta alla terra, e al cielo,
lacerata da odio e rancore.
Zeus manda le Grazie,
le Muse; le vuole
vicino alla madre
impazzita per la vergine scomparsa,
a esorcizzarne il dolore
con eccitate grida e canti.
Echeggiano bronzi in mano a Cipride,
tamburi tesi; strumenti
ignoti alla dea tanto bella.
Erompe in riso, afferra Demetra
un flauto dai timbri caldi;
quella voce la esalta.
ant.
Nel tuo talamo, figlia,
non hanno albergato legge e pietà,
contro di te ha rivolto l'ira
la grande madre, ne hai trascurato i riti.
Pelli screziate di cerbiatti,
edera fresca, collana
per sacri nardi,
sferza di sistri,
che vibrano nell'aria;
capelli al vento, per Dioniso,
ridde notturne per Demetra:
sono potere.
Frena il tuo orgoglio, Elena, la tua vanità:
essere bella non è tutto.
A palazzo, amiche, tutto è andato per il meglio. Alle domande del fratello, da mia brava alleata, Teònoe gli ha taciuto che Menelao è qui: anzi, per favorirmi, ha dichiarato che è morto, che non vede più la luce del sole. Mio marito ha sfruttato molto abilmente la storia delle armi da affondare tra le onde: ha imbracciato lo scudo, impugnato la lancia, come per onorare, insieme a me, il defunto.
E così si è preparato per lo scontro, per erigere i suoi trofei su centinaia di barbari, quando ci imbarcheremo; io ho gettato via i suoi brutti cenci da naufrago, l'ho rivestito da capo a piedi, dopo averlo lavato e ripulito a furia di acqua corrente. Guarda, guarda: sta uscendo di casa l'illuso che crede di tenermi in pugno per le nozze; devo sigillarmi la bocca; e conto anche sul vostro silenzio: se ci salviamo, forse riusciremo a liberare anche voi, un giorno o l'altro.
Mettetevi in fila per bene, come ha voluto lo straniero, con i donativi da calare tra le onde. Se mi dai retta, Elena, e ti pare che non parli a vanvera, rimani a terra: che ti imbarchi o no, rendi sempre un tributo di onori a Menelao. Temo un colpo di testa, ma sì, che per un attacco di nostalgia, sconvolta dal ricordo del marito, tu ti butti in mare. Lo so che continui a sospirare per lui, anche se è scomparso.
Tu sei il mio nuovo sposo: ma io sono obbligata a onorare chi ti ha preceduto e mi ha conosciuto vergine. Però non avrebbe senso unirmi a lui nella morte, per il fatto di amarlo: che vantaggio ne avrebbe? Lascia dunque che io salga a bordo per le esequie. E gli dei esaudiscano quello che io voglio, per te e per questo straniero che collabora con noi.
Visto che rendi un favore a Menelao e a me, avrai in casa la moglie che è giusto tu abbia: mi sembra che tutto proceda nel senso desiderato. Procuraci la nave su cui caricare le offerte: e avrai tutta la mia gratitudine.
Esci, tu, tieni pronto un battello fenicio, con cinquanta rematori.
Il comando a chi lo affidi? A lui, maestro di cerimonie?
Certo, e i miei marinai gli dovranno obbedienza.
Ripeti l'ordine in modo che non ci sia dubbio.
Se ti fa piacere, lo confermo, lo ribadisco.
Benedetto tu, e benedetti i miei propositi.
Non rovinarti la pelle a furia di lacrime.
Oggi ti proverò la mia riconoscenza.
Chi è morto giace, e chi è vivo si dà pace.
I miei morti, per me, sono là, ma sono anche qui.
Non ti farò rimpiangere Menelao.
Per carità, non ho critiche da muoverti. È solo questione di fortuna.
Te la fai da sola la fortuna, se vuoi concedermi il tuo amore.
Ad amare i miei cari, non l'ho imparato adesso.
Vuoi che piloti io, per darti una mano?
Direi di no: non puoi abbassarti al livello dei tuoi schiavi.
Va bene, cosa mi importano gli usi dei Pelopidi? La reggia è incontaminata, Menelao non ha esalato a casa mia l'ultimo respiro. Qualcuno vada a dire ai miei famigli di provvedere, a palazzo, per una sontuosa cerimonia nuziale; l'intero paese deve risuonare di inni festosi per il mio matrimonio con Elena: voglio che mi venga invidiato. Quanto a te, straniero, affida all'abbraccio del mare i doni per l'antico marito di Elena; e poi ritorna, in fretta, qui con mia moglie: a tua scelta potrai partecipare al banchetto nuziale e stabilirti, poi, in Egitto, o ripartire verso i tuoi lidi.
O Zeus, che chiamano padre e saggio, rivolgi su di noi il tuo sguardo, liberaci dai mali. Trasciniamo le nostre sciagure per una strada scoscesa; aiutaci: sfioraci con la tua mano, e la nostra sorte cambierà come noi desideriamo. Abbiamo sofferto anche troppo sino ad oggi. O dei, vi ho invocato, e vi ho rivolto parole di fiducia e di oltraggio; la mia sorte non può sempre essere cattiva, deve raddrizzarsi; questo solo vi chiedo, e sarà per me, per sempre, la felicità.
str.
Rapida nave fenicia,
il battito amico dei remi
frange le onde,
intorno armoniosamente danzano
i delfini, quando
brezze spirano sulla quieta distesa
e la voce riecheggia della glauca figlia del Ponto,
che parla ai marinai
"Spiegate le vele,
si gonfino ai venti,
vogate con forza, con forza:
voi riportate Elena
a fondali ricchi di approdi,
al palazzi di Micene."
ant.
Ritroverai le rive del fiume
il tempio di Pallade
le vergini Leucippidi,
finalmente sarai di nuovo
tra i cori,
alle feste notturne per l'eroe
falciato da Apollo in gara:
veleggiò nell'aria e nel sangue
il disco del dio, che impose
in terra spartana, ogni anno,
sacrificio di buoi per l'estinto.
Ritroverai Ermione, il tuo virgulto;
il chiaro delle fiaccole
non ha illuminato nozze per lei.
str.
Potessi librarmi nell'aria
come le gru della Libia;
lasciano autunni piovosi
docili al richiamo del capostormo,
che lancia stridule grida
sorvolando lande deserte,
campi fertili.
Alati dall'esile collo,
in corsa con le nuvole,
lasciatevi dietro le Pleiadi
e Orione nella notte;
e sui bordi dell'Eurota
risuoni il vostro messaggio:
"Menelao torna,
torna, ha distrutto Troia."
ant.
Accorrete sul vostri cavalli,
discendete dall'alto,
Tindaridi,
tra i turbini di astri di luce,
voi, che abitate il cielo,
salvate Elena:
sono scure le acque, livide, grigi
i flutti.
Chiedete a Zeus venti propizi
per chi naviga;
togliete a Elena l'obbrobrio,
l'accusa di letti barbari;
ha pagato per una rissa fra dee,
e non ha mai posto piede,
mai, tra le mura di Ilio.
Signore, non so se è una fortuna trovarti; è grave la cosa che debbo riferirti.
Cos'è successo?
È meglio che ti cerchi un'altra moglie: Elena ha passato il confine.
Si è alzata in volo o è fuggita a piedi?
Il suo sposo se l'è portata con sé. Era Menelao l'uomo che ci ha comunicato la morte di Menelao.
Spaventoso: e su che nave sarebbero salpati? È incredibile quello che racconti.
Ma gliela hai data tu, la nave: per farla breve, è filato via col tuo equipaggio.
Com'è andata? Ti sto ascoltando: come posso credere che un uomo solo sia riuscito a farcela contro un'intera scorta?
La figlia di Zeus, lasciata la reggia, si era diretta al mare, camminava tutta languida singhiozzando sul marito, che le andava dietro vivo e vegeto. Arriviamo alla darsena dove è in secco la tua flotta, caliamo in acqua una nave sidonia al suo primo viaggio, con i suoi cinquanta vogatori. Le operazioni si susseguono a ritmo veloce: si drizza l'albero maestro, si piazzano i remi e si sistemano le file, biancheggiano tutte le vele; il timone viene inserito al suo posto. Mentre eravamo tutti indaffarati e intenti al preparativi, ecco che proprio al momento giusto fanno la loro apparizione icompagni di Menelao, incrostati di salsedine, come dei naufraghi, belli nel corpo, ma lerci, sordidi.
Vedendoseli davanti, Menelao ostenta una subdola compassione: "Poveretti, siete dei naufraghi? Greci? Perché non seppellite con noi il defunto figlio di Atreo? È una cerimonia simbolica, voluta da Elena, il cadavere non c'è." Quelli scoppiano in lacrime finte, salgono a bordo con offerte in onore di Menelao: tra noi nascevano già sospetti e mormorii, perché erano troppi quei Greci: però, per rispettare le tue disposizioni, ce ne stavamo quieti; tutta la confusione è nata nel momento in cui hai affidato il comando allo straniero. Il resto del carico era leggero, e facile da trasportare a bordo: ma il toro no, il toro non voleva salire in coperta, muggiva, roteava gli occhi, arcuava il dorso, abbassava le corna, non c'era verso di toccarlo. Il marito di Elena si rivolge con foga ai suoi.
"Forza, massacratori di Ilio. Issatevi il toro sulle spalle robuste, alla maniera greca, scaraventatelo a prua (e intanto tormentava la spada); lì lo scanneremo per il defunto." Accorrono all'invito, strappano il toro dal suo posto, lo trasportano sul ponte. Con il cavallo la faccenda fu più semplice: Menelao riuscì a imbarcarlo, carezzandolo sul m uso e sulla fronte. Una volta completo il carico, Elena attraversa agilmente la passerella, si accomoda sul cassero, accanto al presunto scomparso. Gli altri si allineano a dritta e a sinistra, con perfetta regolarità, le armi nascoste sotto le vesti; scatta l'ordine del capovoga, la cantilena ritmata dei marinai sovrasta lo sciabordio delle onde.
Eravamo non troppo discosti né troppo vicini alla riva, e il timoniere si informa: "Straniero,dobbiamo proseguire, o va bene così? Aspetto i tuoi ordini." "Per m e va bene così." fu la risposta. Con la spada in pugno, Menelao si lancia verso prua, e, ritto per il sacrificio, non pronunzia il nome di alcun morto, ma sul punto di sgozzare la bestia prega: "Posidone, signore degli oceani, e voi caste figlie di Nereo, concedeteci di raggiungere Nauplia, fateci uscire salvi me e mia moglie da questo paese." Il sangue dalla gola zampillava nel mare, per un fausto presagio. Qualcuno gridò: "Tradimento! Invertite la rotta: vira di bordo, metti il timone all'orza." Dal suo posto, accanto al toro immolato, il figlio di Atreo apostrofa i compagni: "Fior fiore della Grecia, cosa aspettate a massacrare questi barbari, a sterminarli, a gettarli in mare?" Il capovoga urla al suoi: "Utilizzate banchi, paglioli, strappate i remi dagli scalmi; spaccate la testa agli stranieri." Sono tutti in piedi, chi impugna robusti pezzi di legno, chi la spada: il sangue scorreva a fiotti. Da poppa Elena incitava i Greci: "Dov'è la gloria conquistata a Troia? Mostratela a questi selvaggi."
Sotto la furia dei colpi gli uomini cadevano, alcuni per rialzarsi, altri per giacere esanimi sul ponte.
Menelao, l'unico armato di tutto punto, badava a dove i suoi fossero in difficoltà, e accorreva pronto con la spada alzata obbligando i nostri a tuffarsi in mare precipitosamente. Sui banchi dei vogatori non rimase nessuno. Lui allora punta sul timoniere, gli ordina di dirigere la prua verso la Grecia. Il vento soffiava impetuoso sulle vele tese: sono ormai lontani dall'Egitto.
Io sono sfuggito alla strage lasciandomi scivolare in acqua lungo l'ancora; mi ha raccolto, che ero ormai sfinito, un pescatore, mi ha ricondotto a terra. Ecco, ti ho raccontato tutto. Una saggia diffidenza è, per i mortali, la dote più utile.
Non avrei mai pensato, signore, che Menelao ce la facesse in quel modo, a te e a noi, proprio sotto il naso.
Una donna mi ha raggirato. Che disgrazia, addio sposalizi. Se fosse possibile, in qualche modo, raggiungere la nave, la inseguirei, darei tutto per catturare gli stranieri. Ma per lo meno me la pagherà mia sorella, che mi ha tradito, mi ha nascosto che Menelao era a palazzo. Non trufferà più nessuno coi suoi responsi bugiardi.
Dove credi di andare, padrone, chi credi di ammazzare?
Dove esige giustizia: togliti di mezzo.
Mi aggrappo alle tue vesti: stai per commettere un delitto.
Tu, uno schiavo, vuoi comandare ai padroni?
Io nutro deferenza.
Non mi pare. Lasciami...
Non ci penso neppure.
... ammazzare mia sorella, quella canaglia.
Quella pia persona.
Mi ha tradito.
Giusto tradimento, ispirato dalla rettitudine.
Ha consegnato mia moglie a un altro.
Che ne aveva più diritto.
Diritto sulle cose mie?
Il padre di Elena l'ha data a Menelao.
E la sorte l'ha trasferita a me.
L'ineluttabile te la toglie.
Non tocca a te giudicare.
Invece sì, se parlo meglio di te.
Devo ricevere ordini, invece di darli?
Ma è per il tuo bene.
Tu hai voglia di morire, mi sembra.
E allora uccidimi: dovrai passare sul mio cadavere prima di ammazzare tua sorella: sacrificarsi per i padroni è il gesto più bello per uno schiavo di nobile cuore.
Modera la collera che ti sconvolge, Teoclimeno, signore di questa terra: siamo noi a consigliartelo, noi, i Dioscuri, i figli di Leda, i fratelli di quell'Elena che ha disertato la tua reggia. Ti sdegni per un matrimonio che non ti era destinato; non ti fa nessun torto Teònoe, figlia di una venerabile ninfa, quando rispetta le leggi di lassù e le prescrizioni di tuo padre. Era scritto che Elena rimanesse nel tuo palazzo fino a oggi; ma una volta distrutta Troia, e non più richiesto l'uso del suo nome, doveva rientrare nell'alveo delle antiche nozze, tornarsene a casa a vivere con suo marito.
Rinfodera la nera lama della spada: Teònoe ha agito con saggezza. Già prima ci saremmo mossi a favore di nostra sorella. Anche noi, adesso, apparteniamo all'Olimpo, ma non abbiamo potere sul fato e sugli dei che avevano già preso le loro decisioni.Questo per quanto ti riguarda. A nostra sorella, diciamo: "Veleggia con Menelao: avrete il vento a favore. Noi due, cavalcando sul mare, a fianco del vostro battello, vi scorteremo sino a Sparta. Quando l'arco della tua esistenza sarà compiuto, Elena, sarai assunta in cielo, avrai parte con noi, i Dioscuri, delle libagioni e dei doni ospitali degli umani:
così vuole Zeus. E l'isola, che fu la prima tappa del tuo viaggio attraver so l'etere, quando Ermes ti portò via per impedire a Paride, tuo rapitore, di possedere il tuo corpo - l'isola, dico, posta di fronte all'Attica - sarà chiamata d'ora in poi con il tuo nome, Elena: è l'onore per averti ospitato durante la trasvolata." A Menelao, per tanto tempo errabondo, un decreto celeste assegna residenza nell'isola dei Beati: gli dei hanno rispetto per la gente di rango; è sulle masse, invece, che devono gravare i guai.
Figli di Leda e di Zeus, mi ritiro in buon ordine per quanto riguarda vostra sorella, e rinuncio ad uccidere la mia. Riveda pure la sua patria, Elena, se così piace a quelli di lassù. Sarete fieri di appartenere allo stesso sangue di una donna così casta e virtuosa. Rallegratevi, è persona di rara nobiltà nel sentire, cosa non troppo frequente fra le donne.
Il divino assume molti aspetti, inattese sono le risoluzioni dei celesti; certe cose si profilavano in un modo e si concretano in un altro, l'impossibile diventa realtà per i numi: e questa vicenda si è proprio risolta così