Colui che regge su spalle di bronzo l'antica celeste dimora degli dei, Atlante, da una dea procreò Maia: e Maia al grande Zeus generò me, Ermes, il servitore dei numi., Eccomi qui, al centro dell'universo, a Delfi, dove Febo siede e pontifica, predicendo ai mortali, senza pause, il presente e il futuro. C'è una città, in Grecia, non ignota: trae il nome da Atena, la dea dalla lancia d'oro: là Febo ha piegato ai suoi desideri la figlia di Eretteo, Creusa; l'ha violentata sotto una collina, a Nord, in quel luogo pietroso che i signori dell'Attica chiamano Macre.
Creusa portò il peso del grembo senza che suo padre se ne accorgesse, perché così voleva Apollo. Quando venne il tempo, partorì nella reggia un bambino e lo portò nella caverna dove si era congiunta al dio, abbandonando alla morte la sua creatura, in una cesta rotonda, secondo l'usanza degli avi e memore di Erittonio, generato dalla Terra. Al suoi lati, di guardia, Atena aveva posto due serpenti, nell'affidarlo alle cure delle vergini Aglauridi: per questo i discendenti di Erittonio hanno l'uso di appendere, al collo dei neonati, ciondoli d'oro a forma di serpente. Insomma la giovane adorna con i monili il figlio e lo lascia lì, a morire.
Allora, Febo mi prega: «Fratello mio, va ad Atene, la conosci, è una città famosa, protetta da Pallade, e la gente che ci vive è originaria del luogo. In una caverna è stato deposto un infante, raccoglilo col cesto e i pannolini, portalo a Delfi, dov'è il mio oracolo, e deponilo davanti all'entrata. È mio il bambino, tu lo sai, ed io stesso me ne occuperò.» Per fare cosa grata al mio ambiguo fratello, ho preso su il cesto di vimini e l'ho portato qui, sui gradini, lasciando socchiuso il coperchio, perché si potesse intravedere il bambino. Al levare del sole, la profetessa, come d'uso, entra nel sacello: lo sguardo le cade su quell'esserino, sobbalza all'idea che una delle vergini di Delfi abbia osato lasciarlo lì, n ella sacra dimora, il frutto della colpa: ed era già sul punto di liberare il luogo dall'intruso; ma la pietà vinse sul rigore, anche perché il dio soccorse il figlio che non venisse scacciato.
Così la sacerdotessa si tiene il pargolo e lo alleva. Che il padre fosse Apollo, lo ignorava, e pure chi fosse la madre, e il ragazzo ancora non sa nulla dei suoi genitori. Da piccolo giocava tra gli altari carichi di offerte: una volta cresciuto, gli abitanti di Delfi lo fanno tesoriere del dio, ed egli, fedele custode di tutti i beni ecclesiali, santamente vive in questa casa. Nel frattempo Creusa, sua madre, si è sposata con Xuto, in seguito a una serie di vicende.
Tra gli Ateniesi e gli abitanti dell'Eubea, era scoppiata una tempesta di guerra: poiché si era schierato con gli Ateniesi e aveva collaborato alla vittoria, in segno di alto onore Xuto ottenne in moglie Creusa, pur non essendo Ateniese, ma Acheo di origine; suo padre era Eolo, che aveva come padre Zeus. Sono sposati da molto, lui e Creusa, ma è un'unione sterile: e siccome vogliono dei figli, sono qui a consultare l'oracolo. Apollo in persona ha tirato le fila della vicenda, e anche se non sembra, dietro a tutto questo c'è lui, l'Ambiguo. A Xuto che si presenta per il responso, darà questo giovane, facendogli credere che è proprio suo, di Xuto.
Il ragazzo rientrerà così nella reggia della madre, e da lei riconosciuto, avrà il rango che gli conviene, e degli amori di Apollo non saprà niente nessuno. Apollo renderà suo figlio famoso per tutta la Grecia come colonizzatore, in Asia, della Ionia: e Ione, appunto, sarà detto. Ma adesso è meglio che mi nasconda in questo laureto, per spiare come va a finire la faccenda. Eccolo, il rampollo di mio fratello, che sta uscendo per ornare di fronde d'alloro le bellissime porte del tempio. Sarò il primo, io, fra i celesti, a chiamare l'anonimo col nome che gli toccherà, Ione.
Sfolgora il carro del Sole,
fiammeggia sul mondo:
dall'incendio del cielo
gli astri cercano scampo nella sacra notte.
Le vergini vette del Parnaso
fasciate di luce accolgono
per i mortali
la ruota del giorno;
si alza il fumo dell'arida mirra
verso i tetti di Febo.
In trono vicino al santo tripode,
la profetessa modula per i Greci
i tempestosi suoni,
il messaggio di Apollo.
Fedeli del dio, in Delfi,
recatevi all'argentea fonte Castalia
per ritornare al tempio, aspersi
delle sue caste acque
e il vostro religioso silenzio
propizi
le giuste parole per chi
vuole conoscere il vero.
Io invece sono addetto, da quando ero bambino,
a conservare puro questo tetto divino
fronde appendo di alloro e supplici ghirlande
e fresche gocce d'acqua sul pavimento spando,
attendo al varco, con l'arco, e do la caccia
agli uccelli, minaccia per le offerte.
Poiché non ho genitori
di Apollo mio nutritore,
io servo gli altari.
str.
O splendido virgulto dell'alloro,
mia ramazza, con te netto l'altare
davanti al tempio:
pollone sei di giardini immortali,
vi zampillano acque perenni
che di sacra rugiada bagnano
la sacra chioma del mirto;
o mia ramazza, tutto il giorno usata,
da quando si alza veloce l'ala del sole,
perché il mio dovere sia adempiuto.
Sia gloria e onore
ad Apollo signore.
ant.
È bello il mio lavoro
davanti al tuo abitacolo,
è reverente tributo all'oracolo.
Nobile è il mio lavoro,
pongo il braccio a servizio dei celesti,
non dei terrestri,
non mi concedo riposo
da fatiche gloriose.
Febo è il mio genitore,
lodo chi mi sostenta
e mi rivolgo al mio benefattore,
a Febo, dio del tempio;
lo chiamo «Padre».
Sia gloria e onore
ad Apollo signore.
Ma adesso basta con la scopa di lauro, dai vasi d'oro spargerò per terra l'acqua che la fonte Castalia porta tumultuando; ecco spruzzo il suolo di fresche gocce perché sono un essere puro, io, dalla nascita. Ah, se potessi restare sempre qui al servizio di Apollo! Ma se dovessi andarmene, mi sia amica la sorte. Oh oh, gli uccelli, ne sta arrivando uno stormo, vengono dalle cime del Parnaso. Ehi, voi! Vi proibisco di avvicinarvi ai cornicioni e ai tetti laminati d'oro.
E tu, araldo di Zeus, io ti stendo con una freccia, te e quel tuo becco che fa strage di uccelli. E quest'altro! È un cigno che remiga verso gli altari: via, portale via le tue zampe rossastre. Ah, sì? La cetra di Apollo ti accompagna? Ma non ti salverà dal mio arco. Aria, aria, vattene alla palude di Delo. Se no te li macchio di sangue, io, i tuoi canti armoniosi. Via, via!
Eccone un altro. E chi è? Cosa vuole? Portare pagliuzze per il nido, sotto le grondaie? Ci penso io a impedirtelo: senti come vibra quest'arco? Dammi retta, vattene a fare figli ai bordi dell'Alfeo, o nella valle dell'Istmo, e non insozzare il tempio di Apollo e le sue offerte. Mi spiacerebbe ammazzarvi, voi: voi che portate agli uomini i messaggi degli dei...
Ma torniamo al lavoro per Febo, io servo con zelo e senza riposo coloro che si prendono cura di me.
str.
- Non soltanto nella divina Atene
sorgono templi
dalle belle colonne,
pilastri dedicati ad Apollo,
ed erme bifronti
dagli occhi lucenti.
Guarda! Anche a Delfi ci sono
nella dimora dell'Ambiguo.
- Guarda, guarda il figlio di Zeus:
impugna una scimitarra d'oro;
sta uccidendo l'idra di Lerna;
l'hai visto bene, amica?
ant.
- Ma sì, l'ho veduto, e vicino
un eroe, che stringe nel pugno
una fiaccola ardente... Li ricordi
i nostri discorsi al telaio?
È il compagno fedele che segue
Eracle nelle sue imprese: Iolao.
E questo?
- Inforca un cavallo con le ali,
uccide il mostro a tre teste
che vomita fuoco.
str.
- Presto, è tutto da vedere.
Guarda la mischia dei Giganti
scolpita nel marmo.
- Noi diamo un'occhiata qui, amiche.
- Brandisce lo scudo colla faccia della Gorgone
contro Encelado, o mi sbaglio? La vedi?
- Sì, sì: è Pallade, la mia dea.
E quello? Non è Zeus che scaglia con infallibile mano
il fulmine violento
a doppia punta?
- È lui, sicuro, e incenerisce
lo spaventoso Mimante.
- E Dioniso frenetico,
col pacifico tirso avvolto di edera,
abbatte un altro dei figli della Terra.
ant.
Ehi, tu vicino all'altare, dico a te, possiamo entrare là dentro, magari levandoci le scarpe?
Non è permesso, straniere.
Puoi almeno dirci una cosa?
Prova a domandare
È vero che il tempio di Apollo è l'ombelico del mondo?
Il sasso che lo segna è avvolto di bende e custodito da serpenti.
È proprio così che raccontano.
Se avete già offerto libagioni e volete chiedere qualcosa a Febo, accostatevi all'altare: ma nel sacello non si entra, senza avere sacrificato delle pecore.
Ho capito. Non violeremo la legge divina: ci basta guardare le belle cose, qua fuori.
Guardate, con tutto comodo, quello che è lecito.
I miei padroni mi hanno concesso di dare un'occhiata al tempio.
Di quale casa siete serve?
La casa dove è cresciuta la mia padrona è la dimora di Pallade. Ma eccola là, sta arrivando colei di cui ci chiedi.
Hai tratti nobili, donna: non so chi sei, ma i tuoi modi sono aristocratici. Dall'aspetto di un individuo si ricava di solito il suo rango. Ma perché, perché? Sei appena arrivata al sacrario e chiudi gli occhi, lacrime ti rigano il volto. Cosa ti è successo, cosa ti angoscia, signora? Gli altri, basta che vedano il tempio e sono contenti, tu piangi disperata.
Straniero, il tuo mostrarti sorpreso per il mio pianto è atto cortese. Ma nello scorgere il tempio di Apollo, è riemerso in me un antico ricordo. Ero qui, io, ma il mio pensiero era lontano. Le donne, che sventurate, e gli dei che miserabili! A chi, a chi chiederemo giustizia, se proprio l'ingiustizia dei potenti è la nostra rovina?
La tua disperazione non la capisco. Spiegati.
Niente, ho già deposto l'arco. Basta, io adesso mi metto quieta e zitta, e tu non preoccuparti.
Chi sei? Da dove arrivi? Tuo padre chi è? E come dobbiamo chiamarti?
Il mio nome è Creusa, sono figlia di Eretteo, e la mia patria è Atene.
È una città famosa Atene, e i tuoi sono gente di rango. Donna, mi rallegro con te.
Sì per questo puoi rallegrarti, non per altro, straniero.
Dimmi se è vero quello che si racconta...
E cioè? Cosa ti preme sapere?
Il padre di tuo padre è stato partorito dalla terra?
Sì, dalla terra è nato: ma che mi giova la sua origine?
E Atena lo ha preso in consegna dalla terra?
Senza essergli madre, con le sue mani virginali, sì, l'ha raccolto.
E poi, come si vede nei dipinti, lo ha dato...
Alle figlie del re Cecrope, perché, senza guardarlo, vigilassero su di lui.
... Ma loro l'apersero, invece, la cesta della vergine dea...
E così, moren do, macchiarono di sangue le rocce.
Ah. Ma c'è un'altra storia, vera o falsa, non so.
Domanda pure. Non sono stanca di risponderti.
Le tue sorelle, tuo padre, le ha sacrificate?
Le ha immolate per la patria, sì, ha avuto questo coraggio.
E tu, come ti sei salvata?
Ero molto piccola, stretta fra le braccia di mia madre.
E tuo padre fu inghiottito da uno squarcio nella terra?
Un colpo del tridente di Posidone l'ha fatto sparire.
C'è un posto chiamato «Macre»?
Perché me lo chiedi? Tu hai destato un ricordo...
Quel posto, Apollo e i suoi lampi l'onorano?
Onore senza onore: non l'avessi mai visto!
Tu disprezzi una cosa che è amata da Apollo?
Per niente: ma la conosco, io, la vergogna di certe caverne.
Donna, chi hai sposato tra gli Ateniesi?
Non è ateniese, viene da fuori, il mio sposo.
Chi è? Dev'essere ben nobile.
È Xuto, figlio di Eolo, a sua volta figlio di Zeus.
Ma come: uno straniero sposa un'aristocratica ateniese?
Ti spiego: vicino a Atene è situata una terra, l'Eubea...
E le separa, sento dire, un tratto di mare.
Xuto l'ha conquistata, l'Eubea, lottando a fianco degli Ateniesi.
E così, come alleato, ti ha ottenuto per sposa?
Sì, come dote di guerra, come premio per il suo valore.
Sei qui con lui o sola?
Con lui che ora si aggira nell'antro di Trofonio.
A che scopo? Per guardare o per chiedere un oracolo?
Un oracolo di Trofonio e Apollo, su un unico punto.
Riguarda i raccolti? O i figli?
Figli non ne abbiamo, anche se siamo sposati da tanto.
Tu non hai mai avuto figli?
Febo lo sa che ne sono senza.
Povera donna, fortunata in tutto, e così sfortunata.
Ma tu chi sei? Come invidio tua madre!
Io? Mi chiamano servo di Apollo e tale sono.
Ti ha donato una città? O ti ha venduto qualcuno?
E chi lo sa. Mi chiamano servo dell'Ambiguo, e basta.
Sono io, ora, che provo compassione per te.
Perché non conosco mio padre e mia madre?
Abiti qui nel tempio o disponi di un tetto?
La casa del dio è la mia; mi corico dove mi prende il sonno.
Sei giunto qui bambino, o già cresciuto?
Neonato, dicono quelli che mostrano di sapere.
Ti ha allattato una donna di Delfi?
Non ho avuto balia: mi ha allevato...
Chi, povero figlio? A me che soffro, altre sofferenze si rivelano.
Mi ha allevato la profetessa, che è come mia madre.
Ti sei fatto uomo. Chi ha pensato a te?
Gli altari ci hanno pensato, e i pellegrini, che qui non mancano mai.
Povera madre tua: non riesci a immaginarti chi possa essere?
Forse sono il frutto di una colpa.
Ma hai dei mezzi per vivere? Perché sei vestito bene.
A vestirmi ci pensa il dio di cui sono servo.
L'hai mai provato il desiderio di cercarli, i tuoi genitori?
Non ho nemmeno un indizio, signora.
La conosco, io, una donna che ha patito come tua madre.
Chi è? Sarebbe bello se cercassimo insieme.
È per lei che sono venuta qui, prima che arrivasse il mio sposo.
Se c'è qualcosa che ti serve, puoi contare su di me.
Un responso di Febo, vorrei, ma in segreto.
Dimmi di che si tratta; al resto penserò io.
Dunque la faccenda no, mi vergogno.
Così non arrivi a capo di nulla: la vergogna è una dea che paralizza.
Una delle mie amiche, dice lei, si è congiunta ad Apollo.
Ad Apollo, una donna? Non lo dire, straniera.
Sì, ad Apollo ha partorito un figlio, di nascosto dai suoi.
È assurdo. Quella si vergogna della colpa di un uomo.
Lei lo nega: e sapessi cosa ha passato.
E come mai se era l'amante di un dio?
Il figlio che ha avuto, lo ha esposto.
E ancora vivo? E dove si trova?
Nessuno ne sa niente. E io, per sapere, sono qui.
Ma come è morto, se è morto?
Lei teme che le belve lo abbiano sbranato.
Ma da quale indizio lo deduce?
È tornata dove lo aveva esposto, e non c'era più.
Ma c'erano tracce di sangue per terra?
No, dice lei. Eppure ha rifatto il cammino in lungo e in largo.
Quanti anni fa è morto, il bambino?
Se fosse vivo avrebbe la tua età.
Ha agito male, Apollo, e la madre è una povera infelice.
Sì, anche perché, dopo, non ha avuto altri figli.
Ma non sarà che Febo si occupa, di nascosto, di suo figlio?
Bella ingiustizia, si tiene per sé una gioia che sarebbe comune.
Che strano, il caso è simile al mio!
Straniero, tu, tua madre chissà che nostalgia!
Non risvegliarmelo, questo dolore, io cerco di scordarmene.
Sto zitta; ma tu accontentami in ciò che ti ho chiesto.
Sai qual è il guaio della tua storia?
La storia della mia amica è tutta un guaio.
Il dio dovrebbe rivelare una cosa che vuole tenere nascosta?
Sì, perché qui ha il tripode profetico, che risponde a tutti i Greci.
Lui si vergogna, non insistere.
E lei si dispera, poveretta.
Non lo troverai un intermediario. Smascherato nel suo sacrario, Febo avrebbe ragione di punire chi si offrisse come tuo tramite all'oracolo. Vattene, donna: non si chiede un responso che il dio rifiuta. È follia credere di costringere gli dei a rivelare quanto vogliono nascondere: non ti giovano né sacrifici di greggi davanti agli altari né voli di uccelli. Strappare a forza qualcosa agli dei che te la negano, è inutile e vano, donna; solo ciò che ti concedono reca vantaggio.
Tante e diverse sono le disgrazie che capitano a tanti; ma un grano di felicità, nella vita dell'uomo, è raro che si trovi.
Febo, sei stato ingiusto allora e ancora lo sei verso la donna che non è qui e a cui nome io ti parlo: nel momento in cui dovevi salvarlo, tu non l'hai salvato, tuo figlio; alla madre che chiede di lui, tu, l'indovino, non rispondi se è morto e deve erigergli una tomba, o se è vivo e potrà mai incontrarlo. Ma basta, visto che il dio mi impedisce di conoscere ciò che desidero.
Straniero, mio marito, il nobile Xuto, sta venendo qui, lasciati gli antri di Trofonio; silenzio, mi raccomando, sul nostro colloquio; guai se passassi per una che intriga, guai se il discorso prendesse un'altra piega. Gli uomini sono privilegiati rispetto a noi donne; buone o cattive, siamo messe nello stesso mazzo, e odiate tutte. Sì, siamo sfortunate, noi.
Il mio primo saluto, reverente, ad Apollo, e poi, a te, donna. Ti ha messo paura il mio ritardo?
No, paura no, ma ti pensavo. Ma dimmi: che cosa profetizza Trofonio? Riusciremo noi due a generare un figlio?
Non si è sentito di profetare prima di Apollo: però ha detto una cosa: né tu né io torneremo a casa senza prole.
Madre di Dio, Signora, se fosse di buon auspicio il nostro viaggio! Se mutassero in meglio i nostri antichi legami con tuo figlio!
Così sia. Ma chi è qui, il ministro del dio?
Fuori dal tempio, io, straniero: dentro, ci sono altri, che siedono più vicini al tripode, i migliori cittadini di Delfi, che la sorte ha designato.
Bene, è quanto volevo sapere. Io entrerei: i pellegrini, a quanto mi si dice, hanno offerto già un sacrificio comune davanti al tempio. Desidero consultare l'oracolo di Apollo in questo giorno, che è fausto. E tu, donna, prendi dei rami d'alloro, davanti agli altari prega che io torni dal sacrario di Apollo con un bel responso, la promessa di un figlio.
Così sia. Se l'Ambiguo vuol rimediare, almeno ora, alle sue colpe di un tempo, non è che divenga del tutto amico; ma è un dio, e quel tanto che vuol concedere, io l'accetterò.
Cosa nasconde questa straniera dietro i suoi discorsi oscuri, sempre offensivi verso Apollo? L'oracolo, lo vuole per amore dell'amica? Oppure tace qualcosa che dev'essere celato? Ma della figlia di Eretteo, cosa mi importa? Non siamo mica parenti! Ma ora con i vasi d'oro vado a riempire gli aspersori dell'acqua lustrale. Febo, però, debbo disapprovarlo.
Ma cosa si permette? Violenta delle vergini, e le pianta in asso? E i figli, prima li mette al mondo di nascosto, poi li lascia morire? No, non devi farlo; proprio perché sei potente, hai l'obbligo di essere virtuoso. Un mortale se ha natura perversa, gli dei lo puniscono. Ma allora voi prescrivete ai mortali le leggi, e poi le trasgredite per primi: vi pare giusto? Se un giorno, non succederà, faccio tanto per dire, se un giorno foste obbligati a render conto agli uomini delle donne che vi siete presi, tu Posidone, e tu, Zeus, signore del cielo, dovreste vuotare i templi dei tesori per risarcire i torti! Voi
vi curate del vostro piacere, ma alle conseguenze non pensate: no, non è giusto. Chi merita condanna? Gli uomini che copiano le belle imprese degli dei? O gli dei che danno l'esempio?
str.
- Atena, tu hai visto la luce
senza doglie di parto:
Prometeo, il Titano, ti aiutò
a balzar fuori dal capo di Giove;
mia Atena, benedetta, vittoriosa,
ti invoco, scendi
alla casa di Apollo,
lascia le stanze d'oro dell'Olimpo,
vola verso la terra,
là dove Febo sentenzia
oracoli veridici
dal suo altare, centro del mondo,
presso un tripode che onorano danze.
Tu e la figlia di Latona, Artemide,
caste divinità,
sacre sorelle di Febo,
voi vergini, intercedete:
finalmente l'antica stirpe di Eretteo
da chiaro oracolo ottenga
splendida discendenza.
ant.
- Solida base per i mortali
di una felicità che trabocca
hanno le case in cui feconda, luminosa
la gioventù fiorisce
nelle stanze degli avi;
riceve dai padri ricchezza
e la tramanda
alle generazioni che verranno.
È sostegno nella tempesta,
gioia nella fortuna,
e per la propria terra promessa di salvezza
sulla punta delle lance.
Non mi interessa l'oro
né sfarzo di case regali,
savia progenie mi auguro
da crescere ed educare.
Detesto una casa senza nascite,
disapprovo chi ne è contento:
modesta sia la mia esistenza,
ma orgogliosa di figli.
- O dimora di Pan,
o rupe vicina alle Macre
traforate di grotte,
su verdi distese danzano
le tre figlie di Aglauro,
di fronte al tempio di Atena,
alle cangianti note degli zufoli,
quando tu, Pan, intoni melodie
nei tuoi antri di ombra;
in cui, per sua tristezza,
una vergine
partorì un figlio ad Apollo,
lo espose preda ai rapaci,
sanguinoso banchetto per le fiere,
onta di notte amara. Non voce
di donne al telaio, non leggenda
ricorda felice
chi è nato da un dio e da una mortale.
Ancelle, voi che state aspettando il padrone, lì, sugli scalini del tempio profumato di incenso, ha già lasciato il sacro tripode e l'oracolo, Xuto, o è sempre dentro a chieder lumi per la sua mancanza di figli?
È sempre dentro, straniero; non è ancora apparso sotto il colonnato. No, no, sento un rumore di porte, significa che sta uscendo; lo vedremo presto, eccolo.
Figlio, salute: così deve cominciare il mio discor so.
Io sto bene, e se tu sei sano di mente, staremo bene tutti e due.
Lascia che ti baci la mano, che ti stringa al petto.
Sei sicuro di stare bene? O un dio ti ha reso folle, straniero?
Folle perché ho ritrovato l'amor mio e voglio abbracciarlo?
Fermo, non toccare le bende sacre: le strappi!
Non ti depredo mica, ti abbraccio: ho ritrovato il mio bene, io.
Smettila, prima che ti pianti una freccia in un polmone.
Come? Mi sfuggi? Adesso che hai ritrovato i tuoi cari...
Non ci provo gusto, io, a far rinsavire gli stranieri rozzi e impazziti.
Uccidimi, dammi fuoco: ma sappi che sarai l'assassino di tuo padre.
Come? Tu mio padre? Non farmi ridere.
No, no, adesso ti spiego come stanno le cose.
E cosa mi spiegherai?
Io sono tuo padre e tu mio figlio.
E chi lo dice?
L'Ambiguo, il dio che ha allevato la mia creatura.
Te lo racconti da solo.
Io riferisco quello che ho appreso dall'oracolo
Che parla per enigmi: l'avrai frainteso.
Secondo te, io non intendo bene?
Ma Febo cos'ha detto, precisamente?
Il primo che avrei incontrato...
Incontrato dove?
Uscendo dal tempio del dio.
Cosa gli succedeva?
... quello era mio figlio.
Tuo proprio? O dono del cielo?
Dono del cielo, ma sangue del mio sangue.
E il primo che hai incontrato, sono io.
Appunto.
Mi sembra un caso molto strano.
Siamo in due a stupircene.
D'accordo. E mia madre chi è?
Non so dirtelo.
Febo non l'ha rivelato?
Ero così contento che mi sono dimenticato di chiederglielo.
Allora sono un germoglio della terra, io.
La terra non genera uomini.
Ma come posso essere tuo figlio?
Non lo so: io mi rimetto a Febo.
Allora passiamo ad altro.
Sì, è meglio, figlio.
Hai mai avuto degli amori clandestini?
Follie di giovinezza.
Prima di sposare la figlia di Eretteo?
Dopo, no di certo.
Così mi hai messo al mo ndo allora.
L'epoca corrisponde.
Ma come sono capitato qui?
Questo non so dirtelo.
È lunga la strada, no?
La faccenda confonde anche me.
Ci sei mai venuto, prima, a Pito?
Sì, per le fiaccolate in onore di Bacco.
Eri alloggiato da un prosseno?
Sì, e tra le donne di Delfi...
Ti ha introdotto lui è questo che vuoi dire?
Ai riti delle Baccanti.
Eri sobrio o ubriaco?
Ero in preda ai piaceri di Bacco.
Ecco come e quando fui generato.
Destino, figlio mio.
Ma come sono finito al tempio?
Ti ci ha abbandonato tua madre, probabilmente.
Allora sfuggo al rischio di nascere schiavo.
Accetta, dunque, tuo padre.
Certo, è difficile non credere ad Apollo.
Ora cominci a ragionare.
E cosa posso pretendere di più...
Ora sì che vedi le cose dal punto giusto.
...che esser figlio del figlio di Zeus?
Tale tu sei.
È proprio mio padre che abbraccio?
Se credi in Apollo.
Padre mio!
Come mi giunge caro questo nome.
Questo giorno...
Mi ha reso felice.
Madre carissima, potrò mai scorgere il tuo volto? Ora più che mai desidero vederti. Ma tu forse sei morta, e io non potrò mai...
È nostra la felicità della casa. Ma vorremmo che anche la nostra signora, e la stirpe di Eretteo, fossero rallegrate da prole.
Figlio, dio ha predisposto quest'incontro così bene, mi ha ricongiunto a te, e tu hai ritrovato i tuoi cari, che non conoscevi. Il desiderio che ti assilla è anche il mio: tu vuoi ritrovare tua madre, io la donna che ti ha procreato. Tempo al tempo e ci arriveremo. Ma ora lascia il sacro territorio e il tuo esilio, vieni ad Atene, secondo il desiderio di tuo padre; ad Atene ti aspetta uno splendido regno e la ricchezza. Non peserà più su di te la duplice taccia di trovatello e povero; sarai ricco e nobile. Non parli? Perché tieni gli occhi fissi per terra, sperduto tra i tuoi pensieri? La gioia è scomparsa dal tuo volto; tu mi spaventi!
Le cose non sembrano le stesse a vederle da lontano oppure da vicino. Ringrazio il cielo che mi ha dato, in te, un genitore: ma tu ascoltale, padre, le cose che mi vengono alla mente. I famosi Ateniesi, si dice, sono originari del luogo, sono un popolo che si è conservato puro.
Ai loro occhi avrò due torti, io: figlio di uno straniero e bastardo. Con questa taccia, vivendo da poveruomo, conterò come uno zero, e sarà finita lì; cercando di emergere, invece, e di salire in alto, mi procurerò l'odio dei falliti. I potenti danno fastidio. La gente brava e capace, che si chiude nel silenzio per saggezza, e se ne sta in disparte, mi troverebbe ridicolo e folle, se non me ne stessi quieto in una città terrificante. Se poi mirassi a cariche, retori e politicanti si sbarazzerebbero di me con l'arma del voto.
Così va il mondo, padre. Chi tiene il governo e il potere non ha pietà per i rivali. Ancora. Io, un estraneo, entro in casa d'altri, la casa di una donna senza figli; e lei che prima era unita a te nel dolore, ora si troverà sola, a sopportarlo, e soffrirà di più. Come potrebbe non odiarmi, vedendomi al tuo fianco? Lei è sterile, non guarderà certo di buon occhio un figlio tuo. E tu dovrai sacrificare me per amore di tua moglie, o la tua casa per riguardo a me.
Tu sai quanti delitti, col pugnale, con veleni mortali, furono escogitati da mogli! Ma lo stesso, padre, provo pietà per la tua sposa, che invecchia senza figli e non se lo meritava, lei, che nasce da illustri antenati. Il potere, poi, il potere affascina, se lo guardi da fuori, ma se lo guardi da dentro? E che
gioia, che gusto c'è a passar la vita tra timori e sospetti? Vivere felice, da popolano, è meglio che essere un despota, che si compiace di amici abietti, odia gli onesti, e trema per paura di attentati. Tu mi dirai che l'oro fa passare sopra a questo e altro, e che averne è bello: ma a me non piace starmene con l'orecchio teso stringendo al petto il mio tesoro, e penare: meglio campare modestamente, lontano dagli affanni. Pensa invece ai vantaggi che avevo qui: tempo libero, molto, che è bellissima cosa, e poca gente intorno, nessun furfante che mi spintonasse. No, non c'è di peggio che dover cedere alla gentaglia.
Pregare gli dei, conversare con gli uomini, i miei servizi accolti con soddisfazione, mai con lamentele: e partenze, arrivi, sempre gente nuova, per la quale anch'io costituivo una simpatica novità. Infine, la mia indole e gli usi del luogo mi rendevano giusto verso il dio, e questa è la cosa più auspicabile per l'uomo, anche se non ne ha merito. Tirando le somme, padre, è meglio per me restar qui che venire ad Atene. Lascia che io viva a Delfi: e non è lo stesso rallegrarsi del molto e accettare il poco con gioia?
Parole sante, le tue, se significano un bene per le persone che amo.
Basta con le parole, figlio! Impara a goderti il bene che ti tocca. Voglio festeggiare il nostro primo banchetto comune, qui dove ti ho trovato, offrendo il sacrificio che non celebrai allora, quando nascesti. E adesso sei mio ospite, un ospite venuto da fuori, da onorare con un convito. Poi ti condurrò a Atene, ma come visitatore, non come figlio. Mia moglie è sterile, non voglio addolorarla ostentando la mia felicità. Col tempo, al momento giusto, riuscirò a convincerla a lasciarti lo scettro del nostro regno. Ti chiamerò col nome che conviene al tuo destino: Ione, colui che va incontro: perché mi sei venuto incontro per primo, mentre uscivo dal tempio. Convoca i tuoi amici, in massa, e tra i piaceri di una tavola imbandita colle carni del sacrificio, prendi congedo da loro: stai per lasciare Delfi. A voi, serve, raccomando il segreto: se vi sfugge qualcosa di bocca con mia moglie, vi attende la morte.
Ti seguo, padre, ma il destino mi nega una cosa. Se non troverò la donna che mi ha dato alla luce, la mia non sarà vita. Posso esprimerti un voto? La vorrei di Atene, mia madre, per ricevere da lei il diritto di parlare da uomo libero. In una città di purissima schiatta, lo straniero ha un bel diventare cittadino, la sua lingua resta quella di uno schiavo, senza libertà di parola.
str.
- Lacrime prevedo,
erompere di strida, disperazione:
ritorna a casa, esultando, col figlio
il re, ma la regina
è sterile e senza speranza di figli
Signore del futuro, Apollo,
è curioso il tuo canto profetico.
Il trovatello del tempio,
viene, da dove?
Sua madre, chi è?
Non mi sorride l'oracolo, fiuto
trappole, temo
il dispiegarsi degli eventi.
Strani ordini mi dà il re
mi ordina - è strano - di tacere.
C'è inganno dietro la fortuna
del giovane, nutrito di sangue straniero:
altro è difficile pensare.
ant.
- Sussurrerà, amiche, la nostra voce sincera
alle orecchie della regina: il tuo sposo
che era tutto per te, con cui paziente
spartivi le speranze... lei, adesso
- la travolge sventura, e il re trionfa,
- bianca vecchiaia la aggredisce,
- e il re si chiude nel disprezzo.
- Maledetto, un intruso è penetrato
in una casa ricca, e ha turbato
la bilancia dei destini.
Ma chi ha tradito la mia padrona, muoia,
- muoia! Non sia bella la fiamma
delle offerte che brucia per gli dei;
quanto a me, se ho amicizia
per la gente al potere, si vedrà...
Il novello figlio, il neopadre
già siedono accanto al banchetto.
- Ahi, gioghi e rupe del Parnaso,
picco, celeste dimora,
dove si slancia Dioniso agilmente
(stringe tra le mani fiaccole),
con le Baccanti amiche della notte.
Mai giunga ad Atene, quello,
muoia, chiuda la sua giovane stagione.
La città si difende, ne ha diritto,
dall'invasione straniera.
Non è bastata l'altra? Fu baluardo
contro di essa il signore Eretteo.
Vecchio, tu che facevi il pedagogo mentre era vivo mio padre Eretteo, sali con me al santuario di Apollo: per rallegrarti con me, se l'Ambiguo mi annunzia figli in futuro; è bello dividere la felicità con gli amici. Se invece, dio ci scampi, si profila qualcosa di brutto, è pur dolce vedere un volto caro. Sì, sono la tua padrona, ma per te ho tutto il rispetto che tu avevi per mio padre.
Hai buoni sentimenti, figlia, degni di gente come la tua: tu non la disonori la tradizione dei tuoi avi, puro ceppo della terra di Atene. La mano, dammi la mano, per arrivare al tempio, e guidami: si trova così in alto. Aiutami a camminare, sono vecchio, fammi da infermiera.
Ora vieni. Bada dove metti il piede
Certo! La mente è agile, il piede no.
La strada va a zig-zag: appoggiati al bastone.
Io ci vedo poco, il bastone niente.
Hai ragione, ma non cedere alla stanchezza.
Vorrei, ma non posso comandare a una forza che non c'è più.
Donne, mio prezioso aiuto alla spola e al telaio, è già ritornato il mio sposo? E che oracolo ha avuto sui figli? Per questo siamo venuti. Parlate. Se avete per me buone notizie, darete gioia a una padrona non ingrata
Dio mio!
L'inizio non è di buon augurio.
Povera infelice!
E che? Devo stare in pena, io, per l'oracolo dei padroni?
Cosa dobbiamo fare, noi, rischiare la morte?
Che canzone mi canti? Di che hai paura?
Parlare o tacere? Non sappiamo deciderci.
Parla. Certo hai cattive notizie per me.
Va bene, ti parlerò, dovesse costarmi morte e ancora morte. Padrona! Non cullerai mai tra le braccia un figlio tuo, non lo allatterai mai.
Vorrei morire.
Figlia!
Povera me, che disgrazia! Questo dolore è insopportabile.
Siamo perduti, figlia.
Il dolore mi trafigge il petto.
Aspetta a disperarti
Questi gemiti non posso trattenerli.
... prima di sapere...
Sapere cosa?
Se tuo marito anche lui è colpito dalla sventura o tu sola patisci.
No, vecchio, l'Ambiguo gli ha dato un figlio, e lui, tutto solo, in disparte, se ne rallegra.
Male su male mi annunzi, una calamità che fa urlare.
Deve nascere da un'altra, questo figlio, o esiste già secondo l'oracolo?
Esiste, è nel fiore dell'adolescenza: e l'Ambiguo l'ha donato a Xuto: ero presente, io.
Che dici? Ma è inaudito, inaudito e incredibile, quello che mi racconti.
Anche per me. Ma il vaticinio, come si è realizzato? Cerca di essere più chiara: questo giovane, chi è?
Il primo che incontrasse uscendo dal tempio tuo marito: ecco il figlio che Apollo gli donava.
Che rovina. E a me ha profetato un'esistenza senza figli, sì, senza figli: sola abiterò una casa deserta.
Chi è il designato, chi ha incontrato il marito di questa povera donna? Quando l'ha visto, e dove?
Signora, ricordi il giovane che spazzava il santuario? È lui, il figlio di Xuto.
Come vorrei volarmene lontana dalla Grecia, sino alle stelle della sera, attraverso nebbie d'aria. Che patire, che patire, donne, il mio.
Che nome gli ha messo, lo sai? Oppure tace e non ha ancora deciso?
Ione, «colui che va», perché per primo andò incontro a suo padre.
E sua madre chi è?
Non sono in grado di risponderti. Ma perché tu sappia tutto, vecchio, Xuto è corso alle tende sacre, di nascosto dalla moglie, e offre sacrifici per il genetliaco dell'ospite e prepara un banchetto per il figlio ritrovato.
Padrona, siamo traditi, sono sconvolto come te, subiamo un'astuta violenza, ci scacciano dalle case di Eretteo. Non lo dico per odio verso Xuto, no, lo dico solo perché voglio bene più a te che a lui: sposandoti, uno straniero si è introdotto in Atene, nella reggia, e tutto quello che era tuo l'ha fatto suo; e ora viene fuori che il frutto dell'amore lo ha avuto, ma da un'altra donna, e di nascosto, sì, di nascosto e ti spiego come. Visto che tu eri ste rile, non se l'è sentita di condividere il tuo destino, e di portare il peso comune.
Si prese una schiava, di nascosto, la sedusse, ne ebbe un figlio, e lo consegnò a qualcuno di Delfi, da allevare. Il ragazzo fu abbandonato, di nascosto, sui gradini del santuario, e nel santuario si presero cura di lui. Quando ebbe notizia che era cresciuto, Xuto ti convinse a venire qui, per consultare l'oracolo sulla tua sterilità. Non Apollo ha mentito, dunque, ma il tuo sposo che da tanto stava dietro al figlio e preparava questa trama. Venendo scoperto, avrebbe invocato a giustificazione il volere divino, facendola franca, col tempo dalla sua, gli avrebbe preparato la successione al trono, in Atene. E il nome Ione, «colui che va», buttato lì perché il figlio gli era an dato incontro, se l'era preparato da un pezzo.
Ho sempre odiato i malvagi che ammantano le loro nefandezze di belle parvenze. Un onesto, anche se vale poco, come amico lo preferisco a un sapiente disonesto.
Tra tanti mali, il peggiore che patirai è che lui ti porta in casa, come padrone, un figlio di madre ignota, un nessuno, bastardo di una schiava. Meno grave sarebbe se Xuto introducesse a palazzo, col tuo consenso, dato che sei sterile, un figlio suo, ma di nobile madre. A un tuo rifiuto, era libero di cercarsi altri connubi tra le sue parenti, nella famiglia di Eolo.
Perciò è necessario che tu prenda la tua rivincita di donna: col ferro o coll'inganno o col veleno uccidili, tuo marito e suo figlio, prima che loro uccidano te. Se ti fai degli scrupoli, è certo che toccherà a te di morire. Quando due nemici convivono sotto lo stesso tetto, uno dei due finisce per soccombere.
Io voglio essere al tuo fianco, voglio aiutarti a sopprimerlo, quel giovane, penetrando dove si celebra il banchetto. Ho un debito, io, da pagare al miei padroni, che mi hanno nutrito, e sono pronto, per loro, a morire o vivere. Solo una cosa, il nome, è marchio di vergogna per gli schiavi; per il resto, uno schiavo di nobile sentire in nulla è inferiore ai liberi.
Anch'io, dolce padrona, voglio seguire questo destino: morire, o vivere con dignità.
Conservare il silenzio, anima mia,
o confessare i letti segreti, perdere
l'ultimo ritegno. Quale
vincolo mi trattiene ancora?
Gareggiare in virtù, con chi?
Con uno sposo che ha tradito?
Non ho più casa, non figli,
cadono le speranze, io
volevo disporre delle mie speranze,
tacendo l'unione con Apollo,
e il parto molto lacrimato.
Ma giuro, per la dimora stellata di Zeus,
per la dea che regna sulle mie rocce,
per la riva sacra
della palude Tritonia, gonfia d'acque,
griderò il mio peccato
per togliermi il peso dal cuore,
per sentirmi più lieve.
Lacrime rigano il mio volto,
patisce l'anima, per i perfidi consigli
di uomini, di numi:
svelerò che l'hanno tradito,
che l'hanno dispregiato, l'amore.
Apollo, limpida voce tu trai
dalle sette corde della cetra;
da corna di animali spenti
echeggiano gli inni armoniosi delle Muse:
ma te, figlio di Latona, io accuso,
alla luce del giorno.
Sei venuto da me luminoso
nell'oro dei tuoi capelli;
nel grembo della mia veste
raccoglievo fiori di croco,
dal riflessi dorati,
per farne corone.
Hai stretto le mie mani,
e nel profondo della grotta
mentre gridavo, gridavo «Madre»,
tu, dio e mio sposo,
mi hai spinto e hai celebrato
senza vergogna i riti di Cipride.
Partorisco per te un figlio,
temendo mia madre lo espongo
nel tuo giaciglio d'amore,
là dove hai preso me, infelice,
su un letto di infelicità:
ora il mio, il tuo figlio non è più,
fu preda di rapaci;
ma tu arpeggi e intoni
il tuo peana di trionfo.
Ti chiamo in causa, figlio di Latona:
su un trono d'oro
che indica il centro della terra,
tu sorteggi destini,
io grido al tuo orecchio il mio messaggio.
Seduttore, vile,
al mio sposo, a cui nulla dovevi,
hai dato un figlio, per la sua casa;
ma la mia, la tua creatura innocente
è morta, dilaniata da avvoltoi,
priva delle fasce della madre.
Delo ti odia, e il virgulto d'alloro
presso la palma elegante di foglie,
Delo, la terra dove negli spasimi
di sante doglie, frutto dell'amplesso
di Zeus, te partorì Latona.
Lo scrigno di mali che si sta dischiudendo, strapperebbe le lacrime a chiunque.
Figlia, ti guardo in viso, e provo pietà, ma sono anche stordito, sconvolto. La mia mente è come una nave nella tempesta: riaffiora appena sulla cresta di un'ondata di mali e un'altra la sommerge da poppa; le tue parole mi precipitano in nuovi abissi di sventura. Che cosa stai dicendo? Di che accusi l'Ambiguo? Di che figlio parli? E se è sepolto nel ventre di qualche belva, tu dove l'avresti esposto? Ricomincia da capo per me.
Mi vergogno di fronte a te, vecchio: ma non importa, ti dirò tutto.
So condividerlo il pianto degli amici.
Ascolta, allora. Conosci l'antro a nord della rupe di Cecrope, che chiamano «Macre»?
Lo conosco bene. Là ci sono il sacrario e gli altari di Pan.
Là ho sofferto una lotta tremenda.
Una lotta? Mi vengono le lacrime agli occhi alle tue parole.
Là ho siglato un triste patto di nozze con Febo. Sono stata sua, non volevo.
Figlia, avevo avuto dei sospetti allora, ecco cos'era...
Cos'era? Se hai colto nel segno, non negherò.
... quando gemevi di nascosto per un male segreto.
Il male che ora ti sto rivelando.
Come sei riuscita a tenerlo nascosto, l'amore di Apollo?
Ho avuto un figlio. No, non ti agitare, e ascolta il seguito, vecchio.
Dove? Chi ti ha assistito? O eri sola nel momento delle doglie?
Sola, nello stesso antro dove Apollo mi prese.
Il bambino dov'è? Se riesci a ritrovarlo, non sarai più senza figli.
È morto, abbandonato alle fiere.
Morto? Apollo, vile, non ha fatto nulla?
Nulla. Ora cresce nella dimora dell'Ade.
Ma chi lo ha abbandonato? Tu, no di certo.
Io, sì, di notte, fasciato nel miei pepli.
C'era qualche complice con te, quando lo hai esposto?
La sventura e il segreto.
Ma come hai potuto lasciate tuo figlio in una grotta?
Come? Continuando a piangere e disperarmi.
Non dovevi, hai sbagliato, ma il dio più di te.
Se lo avessi visto, il mio bambino che mi tendeva le mani...
Cercava il latte, voleva starti in collo?
Voleva me, e io l'ho respinto, gli ho fatto del male, crudelmente.
Ma come hai potuto pensare di abbandonarlo, il tuo bambino?
Credevo che il dio avrebbe salvato suo figlio.
L'inverno si abbatte sulla fortuna della tua casa.
Perché nascondi il viso? Vecchio, perché piangi?
Perché vedo l'infelicità tua, del tuo povero padre.
È la vita: è mutevole il corso delle cose.
Ma ora basta con i pianti, figlia.
Ma cosa dovrei fare? Il dolore non ha risorse.
Vendicarti sul dio che ti ha offeso per primo.
E come? Dio è più forte di un mortale.
Dà fuoco al sacro tempio.
Ho paura: sono già troppe le mie disgrazie.
Ci sarebbe un'altra via: uccidi tuo marito.
No, ho rispetto del nostro legame: un tempo Xuto è stato buono con me.
E allora, sopprimi il ragazzo che è emerso dal nulla contro di te.
E come? Magari! Come vorrei farlo...
Metti la spada in mano ai tuoi servitori.
Avanti, dunque. Ma tu hai pensato al luogo dell'azione?
Le sacre tende, dove festeggia cogli amici.
Troppo allo scoperto! I servi non sono da tanto.
Ahi, ahi, cominci a vacillare. Ebbene, proponi tu qualcosa.
Un'idea l'avrei, ma esige forza e astuzia.
Sono pronto tanto a ingannare che a colpire.
Allora, senti: tu la conosci la battaglia dei Giganti?
L'assalto a Flegra contro gli dei?
Quando la Terra partorì un mostro orrendo, la Gorgone.
Per i suoi figli, un alleato, per gli dei un flagello. È così?
Così. Ma la figlia di Zeus, Pallade, la uccise.
C'è una storia vecchia e famosa...
Atena la scorticò e con la pelle si coperse il petto.
È la sua armatura, la cosiddetta «Egida».
Così si chiama in greco, dal suo ergersi contro gli dei.
Che forma ha quest'arma selvaggia?
Una corazza frangiata di spire di serpenti.
Ma infine, figlia, che male può dare al tuoi nemici, questo?
Erittonio sai chi è? E perché non dovresti?
Il vostro progenitore, che scaturì dalla terra?
Sì, e a lui, appena nato, Pallade regalò...
Cosa gli regalò? Prosegui, ti sei fermata.
... due gocce del sangue della Gorgone.
Che potere hanno sugli uomini?
Possono uccidere o guarire.
Ma come le ha assicurate al corpo del bimbo?
Con una catenella d'oro: mio padre l'ha ereditata.
E alla sua morte è passata a te.
Sì, e io la porto a braccialetto.
Ma come mai il dono di Atena ha in sé questo duplice potere?
Una goccia proviene dal sangue delle vene del mostro...
A che serve? E che effetto fa?
Tiene lontane le malattie, ha il seme della vita.
E l'altra goccia?
Uccide: è il veleno dei serpenti della Gorgone.
Sono fuse insieme, le due gocce, o le tieni divise?
Divise. Bene e male non fanno miscela.
Carissima, non c'è bisogno d'altro.
Così il ragazzo m orirà: e sarai tu a ucciderlo.
Dove, in che modo? Tu comanda, io eseguo.
Ad Atene, non appena entrerà nella mia casa.
Non è una buona idea, la tua. Anche tu hai scartato la mia.
E perché? Ti rodono gli stessi miei dubbi?
Ti sospetteranno, anche se non sarai tu a uccidere.
È vero. L'odio delle matrigne è proverbiale.
Uccidi ora, qui, dove puoi negare ogni colpa.
Così godo più presto il piacere della vendetta.
Prenderai tuo marito nella sua trappola.
Veniamo al tuo compito, ora. Eccoti il monile d'oro di Atena, questo pezzo antico; raggiungi Xuto dove sta offrendo, di nascosto, il sacrificio. Quando termina il banchetto e cominciano le libagioni agli dei, il veleno, che avrai nascosto tra le pieghe della veste, versalo nella coppa del ragazzo. Mi raccomando, solo nella sua, perché è lui che sta per introdursi da padrone nella mia casa. Soltanto un sorso, e nella nostra bella Atene non ci arriverà: resterà qui, cadavere.
Tu, intanto, ritirati dai prosseni. Alla mia parte penserò io. Mio stanco corpo, ti chiedo un'impresa da giovane, anche se è ormai lontano quel tempo. Avanti, contro il nemico, al fianco dei miei padroni: li aiuterò a sbarazzarsi dell'intruso, a purificare la reggia. Quando tutto va bene, è bello onorare la pietà: ma quando c'è un nemico da colpire, non c'è legge che tenga.
str.
O figlia di Demetra, tu comandi
gli assalti dei fantasmi notturni;
ma ora, di giorno, per un'atroce morte,
guida il calice colmo del sangue
stillato dal capo mozzo della ctonia Gorgone,
guidalo dove la mia signora, la mia signora
lo destina: a chi protende le mani
sul palazzo del re! Mai uno straniero
governi la città,
ma solo chi per natali appartiene
alla famiglia di Eretteo.
ant.
Ma se la morte non colpisce,
se a vuoto cade l'impresa della mia signora,
se fugge il tempo dell'audacia
che ora ne alimenta le speranze,
con un colpo di spada o la stretta di un cappio
al male col male dando fine,
trapasserà
ad un'altra esistenza.
Viva, non potrà mai accettare
come padrone nella reggia
uno di altra razza, uno straniero,
dinanzi ai suoi occhi chiari:
lei di pura stirpe regale.
str.
- Mi vergogno per il dio da molti inni celebrato,
se presso le fonti sacre,
spettatore insonne, vedrà nella notte delle notti
le torce della veglia solenne,
quando danza anche l'etere
punteggiato di stelle,
danzano la luna
e le cinquanta Nereidi,
che nel mare aperto,
nei vortici di acque perenni
guizzano per la vergine
incoronata d'oro,
e per l'augusta sua Madre.
Là in Atene spera di regnare
di faticati beni usurpatore
il vagabondo di Apollo.
ant.
- Voi che, seguendo la Musa,
levate canti ingiuriosi
sugli amori di noi donne,
empi, illegittimi,
guardate com'è inferiore in virtù
la razza arrogante dei maschi.
Ritorcete contro di loro
e contro i loro tradimenti
lo strepito dei vostri canti:
ritrattate. Ritrattate!
Discende da Zeus l'uomo
misconoscente, Xuto, che non ha accettato
in casa, con la mia padrona,
comune sorte senza figli: altrove
ha reso grazie ad Afrodite,
e ora si fregia di un bastardo.
Donna, dov'è la nobile figlia di Eretteo? Ho passato al setaccio l'intera città per trovarla, e non ci sono riuscito.
Cosa c'è, dimmi? Perché tanta fretta? Che notizie ci porti?
Ci danno la caccia: i magistrati di Delfi hanno ordinato di rintracciare la regina e di lapidarla.
Che dici? È stato scoperto il nostro piano per eliminare in segreto quel ragazzo?
Così è. Tu sei complice , sarai tra le prime a pagare.
Ma come è venuto alla luce il complotto?
Ha pensato il dio a far trionfare il giusto sull'ingiusto, per non veder contaminato il suo tempio.
In che modo? Ti scongiuro, raccontami tutto. Quando le cose si sanno, è più facile morire, se è necessario, o vivere.
Il marito di Creusa si era allontanato dal tempio, con il novello figlio, per preparare un banchetto e un sacrificio agli dei. Prima di avviarsi là dove divampa il fuoco bacchico, a versare, per grazia ricevuta, il sangue delle vittime sulle rocce di Dioniso, dice: «Figlio, tu ora resta qui, e drizza una tenda regolare, con l'aiuto dei carpentieri. Se il mio sacrificio agli dei della famiglia si protrae troppo, inizia i festeggiamenti cogli amici.» E se ne parte con i vitelli. Il giovane fissa scrupolosamente, con i paletti, lo spazio, il recinto per la tenda, con l'occhio ben attento alla luce del sole, in modo da evitare sia le vampe del mezzogiorno che i raggi del tramonto. Calcola una lunghezza esatta, per lato, di cento piedi, un'area, come direbbero gli esperti, di diecimila piedi quadrati: intendeva invitare a banchetto tutta Delfi. Poi tira fuori dalle casse i sacri tappeti, una vera meraviglia, e li aggancia ai paletti, per fare ombra. Come soffitto dispiega un'ala di
pepli, un dono di Eracle, spoglie strappate dall'eroe alle Amazzoni e offerte al dio. La trama era fitta di figure: Urano mentre riunisce le stelle nel firmamento, Elio che lancia i cavalli verso l'ultima fiamma del giorno; dietro di lui già scintilla la risplendente Venere; la Notte dalla nera veste guida furiosamente la sua biga, e la scortano gli astri. Le Pleiadi e Orione, armato di spada, avanzano in mezzo al cielo, più in alto l'Orsa torce la coda verso il polo dorato, la luna tonda coi suoi raggi fende in due il mese. E poi le Iadi, sicuro riferimento per chi naviga, e l'Aurora che porta la luce e allontana le stelle. Come pareti, vengono usati altri drappi, ma barbari: vascelli dai remi eleganti, opposti a navi
greche, uomini semimostruosi e battute a cavallo contro cervi, cacce feroci di leoni. All'ingresso, Ione collocò il dono di un ateniese: una stoffa con Cecrope che si arrotola nelle sue spire di serpente accanto alle figlie; al centro, tra le mense, dispose i calici d'oro. Avanzando sulla punta dei piedi, un araldo proclamava: «Libero accesso al cittadini che vogliono partecipare alla festa.» La tenda si affollò presto: e i convitati, inghirlandato il capo di fiori, si saziavano al lauto banchetto.
Mentre il piacere per il cibo cominciava a spegnersi, un vecchio, che si era piantato nel mezzo, suscitò con il suo strano zelo l'ilarità degli ospiti: distribuiva acqua per le mani, dalle brocche, bruciava grani di mirra, si occupava dei calici d'oro; tutti incarichi che si era assegnato da solo. Al momento dei flauti e del cratere comune, il vecchio disse: «Via, ora, le piccole tazze da vino, sotto con le grandi coppe, perché svelto circoli il sangue nelle vene.» In fretta vennero portate coppe d'oro e d'argento decorate; il vecchio ne prese una, e quale atto di ossequio verso il nuovo padrone, gliela porse colma. Ma nel vino aveva versato un potente veleno, ricevuto, si dice, dalla regina, perché il giovane Ione più non vedesse la luce.
Ma nessuno l'aveva scoperto. Mentre il figlio rivelato teneva, come tutti, la coppa tra le mani, a uno dei servi sfuggì una parola che suonava sinistra. E lui , che era cresciuto nel tempio, fra veri indovini, colse al volo il presagio e chiese un'altra coppa. Dedicò alla terra, anziché al dio, la prima libagione, ordinando a tutti di imitarlo. Scese il silenzio. Riempirono di nuovo i sacri crateri di acqua e di vino di Biblos. In questo trambusto, uno stormo di colombe, ospiti abituali e indisturbate del tempio dell'Ambiguo, piomba nel santuario: si precipitano assetate sul liquido sparso al suolo, vi immergono il becco, alzano la gola iridata di piume per inghiottirlo. Nessuna ebbe a soffrire per la libagione già destinata al dio: ma la colomba che si era posata accanto al giovane Ione e aveva bevuto il vino da lui versato, subito agitò ali e corpo, freneticamente, emise strida mai udite, strazianti: la folla assistette sbigottita all'agonia della colomba, che spirò palpitando, colle rosse zampe distese.
Si libera dal mantello il giovane figlio del vaticinio, si protende oltre la tavola e grida: «Chi voleva uccidermi, qua dentro? Parla vecchio. Ti sei dato molto da fare tu, m'hai passato con le tue mani la coppa.» Lo afferra per il debole braccio, lo interroga per strappargli la confessione. Scoperto, costretto, il vecchio rivela, pur riluttante, la temeraria decisione di Creusa e la sua macchinazione. Subito corre fuori, con i suoi ospiti, il figlio dell'oracolo, e, dinanzi al magistrati di Delfi, esclama: «Augusta terra! Una straniera, una donna della stirpe di Eretteo, ha tentato di avvelenarmi.» I signori di Delfi, unanimi, condannarono la mia padrona alla lapidazione perché aveva progettato l'assassinio di una persona sacra, introducendo nel tempio il delitto. La città intera dà la caccia alla regina: infelice, un infelice viaggio ha intrapreso. Venne da Febo per amore di figli, e ha trovato, non figli, ma la morte.
No, non c'è più speranza
per me di salvezza dalla morte;
è palese, palese ormai:
fu versato veleno veloce di vipera,
per uccidere, nella coppa di Dioniso.
È palese: vittime reclamano gli inferi;
per me la fine della vita,
per Creusa strazio di pietre.
Fuggire, volare via,
celarsi sotto terra, nell'ombra, ma evitare
l'orrore della lapidazione.
Salire sulla quadriga di rapinosi cavalli,
o sulla poppa di una nave...
- No, solo un dio amico
assicura scampo: il resto è vano.
Perché deve patire ancora,
l'anima tua, regina? Il male
preparato contro il prossimo si ritorce
contro di noi, come esige giustizia?
Ancelle, sono inseguita, vogliono trucidarmi: il tribunale Pitico mi ha condannato, mi consegneranno al carnefice.
Povera regina, sappiamo tutto della tua disgrazia.
La morte mi minacciava perfino dentro casa, a stento sono fuggita sin qui eludendo i miei nemici. Ma ora, dove trovo scampo?
Dove? Ma presso l'altare!
Che protezione mi offre?
Non si può uccidere una supplice.
La legge mi condanna.
Ma prima deve averti in suo potere.
Eccoli, eccoli qui, i miei crudeli nemici: arrivano di corsa con le spade in pugno.
Siediti sull'altare. Se ti uccidono lì, sono assassini, e pagheranno per il sangue versato: ma tu accetta la tua sorte.
Antico padre Cefiso, dalla forma di toro, che serpente hai generato? Che vipera dagli occhi letali di fuoco? È capace di qualunque orrore, velenosa più delle stille di sangue della Gorgone, con cui voleva distruggermi. Prendetela: le rocce del Parnaso ne cardino i lunghi capelli, venga scaraventata laggiù, e si sfracelli sulle pietre. Il cielo mi ha protetto, prima che cadessi vittima, in Atene, della mia matrigna.
Le ho viste le tue intenzioni, e la rovina che mi preparavi, qui, mentre ero in mezzo ad amici: là, nella reggia, mi avresti intrappolato e spedito all'altro mondo senza scampo. No, non ti salveranno né l'altare né il tempio di Apollo: provo pietà, ma non per te, no, ma per me e per mia madre: anche se non è qui davanti a me, il suo nome vive nel mio cuore. Guardatela, la criminale, come ordisce raggiri su raggiri: si è acquattata presso l'altare di Apollo, sperando di non pagare per le sue malefatte.
In nome mio e del luogo divino in cui mi trovo, ti proibisco di toccarmi.
Cosa c'è di comune tra te e Febo?
Il mio corpo, io lo affido e lo consacro a lui.
Anch'io sono consacrato a Febo, e tu hai tentato di avvelenarmi.
Non eri più di Febo, ma di tuo padre.
Di mio padre come nascita: ma come consacrazione, del dio.
Sia pure così; ma ora ci sono io qui, e tu non più.
In te non c'è religione: io ero puro.
Ti volevo uccidere perché sei nemico del mio sangue.
Non ho mai invaso il tuo paese.
Non negare! Avresti dato alle fiamme la reggia di Eretteo.
E le torce, il fuoco, dove li prendevo?
Tu pensavi di penetrare nella mia casa, di prepotenza, contro il mio volere.
Mio padre mi ha donato una terra che si era conquistata.
Cosa c'entra il figlio di Eolo coi beni di Pallade?
Atene, lui l'ha difesa con le armi, non coi discorsi.
Un alleato non può accampare diritti sulla terra.
E per questa paura tu volevi uccidermi?
Per non morire, quando saresti entrato in azione.
È gelosia la tua, perché sei sterile, e mio padre, invece, ha ritrovato me.
E tu, alle donne sterili usurpi la casa?
Non ho diritto all'eredità paterna?
La tua eredità? Uno scudo e una lancia.
Lascia quell'altare, lascia quel luogo sacro.
Gli ordini, dalli a tua madre, se sai dove si trova.
E tu che hai tentato di avvelenarmi, resterai impunita?
Avanti, scannami dentro il pio recinto.
Vuoi dunque morire tra i paramenti di Apollo?
Farò soffrire qualcuno che mi ha fatto soffrire.
È terribile: dio ha imposto ai mortali leggi che non sono né eque né sagge. Ai colpevoli non può spettare diritto d'asilo, bisognerebbe scacciarli dagli altari. No, non è bello vedere una mano immonda che tocca oggetti benedetti. Solo i giusti, se offesi, dovrebbero rifugiarsi nel templi. Invece lo fanno sia i buoni che i malvagi, e per tutti la protezione è la stessa.
Fermati, ragazzo. Sono venuta sin qui apposta, lasciando il sacrario, io, la profetessa, eletta da tutte le donne di Delfi a custode dell'antico cerimoniale.
Salve, madre cara: tale tu resti per me, anche se non sono del tuo sangue.
Sì, chiamami madre: è nome dolcissimo per me.
Hai saputo che fine mi aveva preparato questa donna?
Ho saputo, ma anche tu agisci male, se sei tanto crudele.
Non è giusto ripagare morte con morte?
Le matrigne sono ostili da sempre ai figliastri.
E noi alle matrigne, che ci riservano la loro perfidia.
No, non così. Lascia il tempio e vattene nella tua patria.
Cosa dovrei fare, secondo te?
...vattene ad Atene, senza macchia e sotto buoni auspici.
Chiunque uccida i suoi nemici è senza macchia.
Non nel caso tuo: ascolta il messaggio che ho per te.
Di' pure: so bene che le tue parole nascono da sincero affetto.
Vedi questo canestro che porto infilato sotto il braccio?
Vedo una vecchia cesta, con coperchio e bende.
È qui che ti ho trovato in fasce.
Cosa mi stai raccontando? Tutto mi giunge nuovo.
A lungo ho taciuto il segreto che ora ti svelo.
Perché me l'hai taciuto per tanti anni?
Apollo ti voleva nel tempio, al suo servizio.
E ora non più? Come faccio a esserne sicuro?
Ha rivelato chi è tuo padre: dunque ti congeda da qui.
E perché l'hai conservato il canestro? Chi te l'ha imposto?
L'Ambiguo, in quel tempo, mi ispirò...
Che cosa? Avanti, finisci il discorso.
... l'idea di conservare sino a oggi le reliquie di allora.
A mio vantaggio o a mio danno?
Qui ci sono i pannolini in cui eri avvolto.
Mi consegni qualcosa che mi riconduce da mia madre?
Sì, Apollo lo consente: prima, invece, si opponeva.
Che giorno di felici rivelazioni!
Tieni questi ricordi, va' in cerca di tua madre.
A costo di percorrere tutta l'Asia e l'Europa.
La cosa, ormai, riguarda solo te. Io ti ho allevato, in virtù di Apollo, figlio, e ti restituisco ciò che lui mi ha chiesto, e imposto, di prendere e di custodire: per quale motivo, non sono in grado di dirtelo. Nessuno al mondo sapeva che possedevo questi oggetti, né dove fossero nascosti. Addio! Ti abbraccio come se fossi io tua madre. Ma tu, la tua vera madre, comincia a cercarla partendo dal punto giusto: qui a Delfi, intanto, perché può essere stata una donna di qui a generarti e deporti sui gradini del tempio; e poi in Grecia. È tutto, da parte mia e di Febo, che si è interessato al tuo caso.
No, non posso fare a meno di piangere amaramente, pensando a mia madre che è stata sedotta, in segreto, e in segreto ha fatto mercato di me, negandomi il seno. E io ho vissuto una vita da servo, senza nome, nel tempio di Apollo. Dio mi è stato amico, ma la sorte no: quando avrei dovuto, tra le tenere braccia di mia madre, gustare un po' della felicità della vita, fui privato del dolce latte materno. Ma disgraziata anche mia madre! Ha patito un dolore come il mio.
Ora prendo questo canestro e lo offro in voto ad Apollo, per non scoprire qualcosa che possa dispiacermi. Se per caso mi ha partorito una schiava, scoprire chi è mia madre sarebbe peggio che ignorarlo. Febo, a te dedico, nel tuo tempio... Ma cosa mi viene in mente? Mi ribello alla volontà del dio che ha salvato per me le tracce che portano a mia madre? Bisogna aprire, e affrontare il rischio: il destino non è possibile evitarlo. Che cosa mi nascondete, sacre bende, e voi, legami che conservate il mio segreto? Strano! L'involucro di questo bel canestro non mostra l'usura del tempo, sui vimini non c'è ombra di muffa, per qualche divino volere. Eppure di anni ne sono trascorsi su queste reliquie!
Che cosa vedo! È incredibile!
Dopo tutto quello che hai taciuto, ora parli?
Non posso più tacere. E tu risparmiami il tuo sarcasmo. Questa che vedo è la cesta in cui ti deposi, figlio mio, che eri appena nato, nell'antro di Cecrope, alle Macre. Ecco, lascio l'altare, anche se mi costa la vita.
Prendetela! Dio l'ha resa folle, è balzata giù dall'altare, si allontana: legatele le braccia.
Uccidetemi, avanti! Ma io stringerò al petto te e questo canestro, con tutti i tuoi tesori.
È spaventoso: sono preso in ostaggio da parole!
No, chi ama ritrova l'essere amato.
Io amato da te, che volevi uccidermi a tradimento?
Sei mio figlio! Un genitore, chi potrebbe amare di più?
Basta coi tuoi tranelli! Tu sei nelle mie mani.
È proprio quello che desidero, figlio.
Dimmi della cesta: è vuota o contiene qualcosa?
Il tuo corredo, la vestina in cui ti avevo coperto, allora.
Sapresti descrivermele queste cose, senza guardarle?
Certo, e se sbaglio, sono pronta a morire.
Parla. C'è qualcosa di strano nella tua impudenza.
Su, guardate. Deve esserci una stoffa che ho tessuto da ragazza.
Sii più precisa: i lavori a telaio delle ragazze non si contano.
Non era perfetta. Io stavo ancora imparando.
Non mi prendi in trappola. Cosa raffigurava?
Una Gorgone proprio al centro dell'ordito.
Dio mio, il destino mi sta braccando.
Bordata di serpenti, come un'egida.
Sì, tutto corrisponde come in un oracolo.
Mia giovanile fatica!
C'è dell'altro o hai chiuso con i colpi di fortuna?
C'è un antico ciondolo d'oro, a forma di serpente.
Per che scopo, che uso? Spiegati.
Figlio mio, si tratta di una catenina per neonato, un regalo di Atena, contrassegno della stirpe regale, a ricordo dell'avo Erittonio.
È qui. Passiamo al terzo oggetto.
Su di te avevo posato una corona del primo olivo piantato da Atena sulla roccia: una corona che mai ingiallirà, perché è germoglio di una pianta che non appassisce mai.
Madre mia carissima, felice ti rivedo, accosto il mio viso al tuo viso felice.
Figlio, più splendido, dio mi perdoni, del sole per una madre, lo ti stringo fra le braccia; non speravo più di ritrovarti, ti pensavo nel regno buio dei morti, con Persefone.
Madre carissima, ero morto e ricompaio vivo tra le tue braccia.
O luminosa distesa dell'etere, vorrei cantare, gridare, ma cosa? Questa gioia inattesa, da dove mi proviene? Chi mi ha reso tanto felice?
Tutto mi sarei aspettato, madre, tranne di essere tuo figlio.
Tremo ancora di paura.
Dubiti di non avermi qui con te?
Avevo perduto ogni speranza. Ma tu, vergine sacra di Delfi, dove, dove hai raccolto la mia creatura? Quale mano l'ha deposta nel tempio dell'Ambiguo?
Fu opera di dio. Ma per il futuro mi auguro una felicità pari all'infelicità che abbiamo patita.
Tra lacrime venisti al mondo, figlio, tra singhiozzi ti strapparono dal seno della madre; ora respiro accanto a te, guancia a guancia, e sono la più beata delle donne.
Tu parli per te e per me insieme.
Sono madre, non sono più senza figli. La dinastia è salva, il paese ritrova il suo signore, Eretteo la sua giovinezza. L'antichissima reggia non e più avvolta dall'oscurità, splende alla luce del sole.
Madre, anche mio padre dovrebbe essere qui, a dividere la gioia che vi ho dato.
Figlio, cosa dici? Quale accusa per me!
E perché mai?
Un altro ti ha generato, un altro!
Sono il figlio della colpa, un bastardo?
Nozze senza fiaccole, senza canti, le mie; e tu ne sei il frutto.
Sono di bassa origine, dunque: chi è mio padre?
Mi sia testimone la dea che uccise la Gorgone...
Perché giuri?
... che abita la collina da cui nasce l'olivo, sulle mie rocce...
Tu dici cose oscure, che mi confondono.
... e presso la rupe dove gli usignuoli cantano a Febo...
Perché parli di Febo?
Segretamente sono stata sua.
Va' avanti. Tu mi sveli una cosa bella che mi rende felice.
Nove mesi dopo, nell'angoscia di un parto clandestino, ti partorii a Febo.
Se è la verità, è meraviglioso quello che dici.
Per timore di mia madre, ti avvolsi in queste tele, opera incerta delle mie mani adolescenti. Non ti nutrii col mio latte, non ti offrii il mio seno, non ti lavai colle mie mani; ma in un antro deserto ti consacravo all'aldilà, buttandoti in pasto agli avvoltoi.
Hai osato cose terribili, madre.
Figlio, fu per paura che gettai via la tua vita. Ti ho ucciso, ma non volevo.
Anch'io ho peccato di empietà. Volevo ucciderti.
Prove terribili, allora e oggi; siamo stati sballottati di qua e di là, attraverso casi iniqui e poi vicende fortunate; il vento che sempre mutava sia costante, adesso: di sventure ne abbiamo avute abbastanza. Dopo la tempesta, spiri, finalmente, un vento propizio, figlio.
Nulla ormai può essere ritenuto impossibile, da nessuno, dopo quello che avete visto.
Fortuna, tu tramuti mille volte le sorti dei mortali: li precipiti nella sciagura, di nuovo li rialzi: io sono stato sul punto di uccidere mia madre, e di patire ingiusta sofferenza. È questa la lezione di un giorno chiuso tra il sorgere luminoso e il tramontare del sole? Ti ho ritrovato, madre, ed è per me cosa dolcissima; e certo non ho da dolermi della famiglia in cui mi ritrovo. Ma c'è un'altra cosa che vorrei dirti da solo a sola.
Appartiamoci, te lo dirò nell'orecchio: è meglio stendere un velo d'ombra su queste faccende. Senti: non è che irretita in un amore clandestino - alle ragazze capita - hai fatto ricadere la colpa sul dio, per sfuggire al disonore? E hai dichiarato di avermi avuto da Apollo, mentre non è vero?
Te lo giuro, per Atena-Nike, per l'Atena che ha combattuto sul carro accanto a Zeus contro i Giganti: tuo padre non è di questa terra; è un dio, è l'Ambiguo che ti ha allevato.
E allora, perché consegnarmi a un padre che non è il mio, e dichiarare che sono nato da Xuto?
No, non ha dichiarato questo: soltanto gli fa dono di te, della sua creatura: capita che si ceda a un amico proprio figlio perché diventi erede della sua casa.
Ma le parole dell'oracolo sono vere o false? Questo mi turba profondamente, madre.
Ascolta ciò che ho pensato. Apollo ti inserisce in una nobile famiglia per il tuo bene. Se tu fossi proclamato figlio di Apollo, non potresti pretenderne il nome né l'eredità: tanto più che io ho tenuto segreta la mia unione e di nascosto ho cercato di liberarmi di te. E così lui, per la tua fortuna, ti offre un padre diverso.
No, non riesco a accettare questa povera spiegazione. Vado dentro a chiedere a Febo se mio padre è un uomo o se è lui, l'Ambiguo. Oh! Lassù, sulla cima del tempio fragrante di incensi, contro il sole, è apparso, in tutto il suo fulgore, un dio. Presto, fuggiamo, madre, è pericoloso guardarlo! Non è concesso ai mortali contemplare il volto divino.
Non fuggite! Non mi troverete nemica, ma benevola, a Delfi come ad Atene. Da me ha preso nome la vostra città, e qui giungo inviata da Apollo, in tutta fretta. Lui non crede di comparirvi dinanzi, per non sentirsi rimproverare pubblicamente il passato, e ha mandato me con questo messaggio. Ione, Creusa è tua madre, e ti ha avuto da Apollo, il quale ti ha dato a chi sai, per garantirti un casato nobile. Venuto alla luce il segreto, temendo che tu soccombessi alle insidie di tua madre, e tua madre a te, ha architettato la vostra salvezza. La prima idea era di mantenere il silenzio e rivelare tutto, poi, ad Atene; là Creusa avrebbe saputo che tu eri suo figlio e tu che Creusa era tua madre, e Febo il padre.
Ma per portare a termine il mio compito, ascoltate gli oracoli del dio: per rivelarveli ho spronato sin qui i miei cavalli. Tu, Creusa, raggiungi il regno di Cecrope con tuo figlio, e installalo sul trono: è progenie di Eretteo, dunque è giusto che governi la mia terra: diventerà famoso in tutta l'Ellade. I suoi figli, quattro di una stessa radice, daranno nome alle terre, alle tribù che circondano l'Acropoli. Il primo sarà Geleonte, poi verranno gli Opleti, gli Argadi, gli Egicori, così designati dalla mia egida.
I loro discendenti, quando sarà l'ora, popoleranno le città delle isole Cicladi e le regioni costiere: una garanzia di forza per il mio paese. Occuperanno le pianure di due continenti, agli opposti stretti di Asia e Europa; progenie di Ione, verranno detti Ioni e saranno famosi. A te e a Xuto non mancherà prole comune: prima Doro, da cui verrà gloria di canti alla città dei Dori, nella terra di Pelope, e poi Acheo, che governerà su un promontorio presso Rio, e sarà l'eroe padre di un popolo. Apollo ha regolato bene ogni cosa: intanto ti risparmiò doglie dolorose, e nessuno dei tuoi si accorse di nulla; il neonato, da te fasciato nel pannolini, e esposto, per ordine suo lo raccolse Ermes, che lo trasferì qui e l'allevò, non permettendo che morisse.
Ora mantieni il segreto, non rivelare che Ione è tuo figlio: Xuto si tenga la sua bella illusione, e tu ritorna a casa con il tuo bene, donna. Siate felici. La catena dei vostri dolori si è interrotta, e io vi annuncio prospero avvenire.
O figlia del grande Zeus, noi crediamo a ogni tua parola; sono certo di essere figlio di Creusa e dell'Ambiguo; e anche prima non c'era da dubitarne.
Ascolta adesso anche me: ho biasimato Apollo, ora lo lodo, mi restituisce il figlio di cui non si era curato. Per me, ora, queste porte e il sacrario del dio sono belli mentre prima mi erano odiosi. Stringo con gioia il battente delle porte, ora, e rivolgo ad esse il mio saluto.
Sia lode a te perché hai mutato idea e benedici il dio: lento procede l'aiuto dei numi, ma a lungo andare è sicuro.
Figlio, muoviamoci verso casa.
Andate, seguirò i vostri passi.
Preziosa scorta
... e amica della nostra città.
Ascendi al trono dei tuoi antenati.
Preziosa conquista, per me.
Apollo, figlio di Zeus e Latona, salute! Chi vede accanirsi la tempesta contro la sua casa, veneri gli dei e abbia fiducia: i buoni, infine, saranno ricompensati, degnamente, i cattivi mieteranno quel male che hanno seminato.