Licino. Si, o Esiodo: che tu sei un ottimo poeta, e che dalle Muse ricevesti questo dono insiem con l'alloro, tu stesso lo dimostri nelle tue poesie, le quali sono tutte ispirate e sacre, e ci fanno credere che sia così. Ma ti si può fare una difficoltà. Tu hai detto di te stesso, che per due cagioni ricevesti quel divino canto dagl'iddii, per celebrare ed inneggiare il passato, e per divinare il futuro: e l'una cosa hai benissimo adempiuta, contandoci l'origine degl'iddii fin da quegli antichi il Caos, la Terra, il Cielo ed Amore, e ancora le virtù delle donne, ed avvertimenti su l'agricoltura, e parlandoci delle Pleiadi, e qual è stagione d'arare, di mietere, di navigare, e tante altre belle cose: l'altra poi, che era più utile alla vita, e dono veramente divino, dico la predizione dell'avvenire, non l'hai toccata affatto, ti sei del tutto scordato di questa parte, e in nessun luogo delle tue poesie hai imitato né Calcante, né Telemo, né Poliido, né Fineo, i quali non ebbero tanto bene dalle muse, e pure profetavano e davano oracoli a chi ne voleva. Onde una delle tre, e sempre colpa hai: o hai detto una bugia (benché sia amaro a dire) che le muse ti promisero di poter predire il futuro: o ti diedero come ti promisero, e tu per invidia nascondi quel dono, e te lo tieni in saccoccia, e non vuoi farne parte a chi ne ha bisogno; o pure hai scritte molte profezie, ma non hai voluto mai pubblicarle nel mondo, serbandole per non so quale altro tempo. Ce ne sarìa una quarta, ma non mi attenterei neppure a dirla; che le Muse avendoti promesse due cose, l'una ti diedero, e ritrattarono la promessa a mezzo, dico della conoscenza del futuro, mentre che prima te l'avevano promessa nel canto. Questa cosa adunque da chi altro che da te, o Esiodo, si potria sapere? Come gli Dei sono datori di beni, così voi che siete loro amici e discepoli, dovreste anche voi con tutta verità spiegare le cose che sapete, e scioglierci i dubbi che abbiamo.
Esiodo. Io potrei, o uomo
dabbene, con una facile risposta risponderti a tutto, che nessuna delle cose
cantate da me è propria mia, ma delle muse, e da esse dovresti dimandar ragione
di quelle che ho dette, e di quelle che ho tralasciate: che io per le sole cose
che sapevo da me (come a dire pascere, pasturare, guidar la greggia, mungere, e
quanto altro è faccenda e mestiere de' pastori) dovrei difendermi; e che le dee
dispensano i loro doni a chi esse vogliono, e come meglio credono. Pure non mi
mancherà con te anche una poetica difesa. Non bisogna, cred'io, coi poeti
guardarla troppo nel sottile, pretendere che pesino persino le sillabe, e se
qualcosa scappa nella foga del poetare, avventarvisi sopra acerbamente; ma
bisogna sapere che molte parole noi le ficchiamo per compiere il verso e
rendere bel suono; e talune che sono scorrevoli il verso stesso talora non so
come se le piglia. Tu ci togli il maggiore dei beni che abbiamo, dico la
libertà e l'arbitrio nel poetare: non guardi quante altre bellezze ha la poesia,
ma raccogli fruscoli e spine, e cerchi appiccagnoli per calunniare. Né se' tu
solo che fai così, né contro me solo, ma molti ed altri strapazzano i versi del
mio compagno Omero, volendoci vedere proprio il sottil del sottile. Ma per
farmi più dappresso all'accusa, e ribatterla con dirittissima difesa, leggi tu
le Opere mie ed i Giorni, e vedrai quanti pronostichi e profezie in quel poema
ho fatto, presagendo la buona riuscita delle opere che si fanno bene ed a tempo,
ed il danno di quelle che si trascurano. E quel verso:
In una cesta
porterai, e pochi ti mireranno dei vicini,
e altrove tutti quei beni
che verranno a chi ben coltiva, si deve tenere come una predizione utilissima
al mondo.
Licino. Questa sì, o ammirabile Esiodo, l'hai detta
proprio da pecoraio; e pare che sia vero che le Muse t'imboccavano, se da te
non sai difendere i tuoi versi. Noi non aspettavamo da te e dalle muse cotesta
divinazione: chè in tali faccende sono più indovini di voi gli agricoltori, e
indovinano benissimo, per esempio, che se Dio manda la pioggia, i covoni
saranno pieni; se viene la state, e la terra è secca, è impossibile che non
venga la fame dopo quel secco: che nel mezzo della state non bisogna arare, e
non fa utile, perché si sperderebbero le sementi; né mietere la spiga quando è
verde, se no si trova vuota di frutto, Né ci è bisogno di divinazione per
sapere che se non ricopri la sementa, se il garzone con la zappa non vi mette
la terra sopra, verranno gli uccelli e si beccheranno tutta la speranza della
messe. In queste tali cose a dar precetti e consigli non si sbaglia; ma questo
pare a me sia tutt'altro che pronosticare. Il pronosticare è il prevedere
chiaramente le cose oscure e che non appariscano in veruno modo:
come
predire a Minosse che il figliuolo affogherà in una botte di mele; presagire
agli Achei la cagione dello sdegno di Apollo, e dopo dieci anni la presa di
Troia. Questa è divinazione. Se NO, se coteste tue baie sono divinazione, sono
indovino anch'io: e predirò e profeteggerò, anche senza la fonte Castalia, il
lauro, ed il tripode Delfico, che se uno di verno va camminando nudo mentre
piove e grandina, gli verrà addosso un freddo ed un tremito grande; ed una
predizione più profetica è, che poi gli verrà un gran caldo, come è naturale: e
così molte altre predizioni di questa fatta, che saria ridicolo a dire. Onde
lascia stare cotali difese e pronostichi: forse quel che hai detto da prima è
più accettabile, che non sapevi nulla di ciò che hai detto, ma facevi versi per
una certa vena felice, e che non era gagliarda molto: se no, non avresti
adempiuta una parte delle tue promesse, ed una parte tralasciata.