a cura della dott.sa Francesca Merlo
a. Il nome di Dio
Secondo il libro dell’ Esodo , Mosè chiese a Dio il suo nome e Dio glielo rivelò: Yahwè (che per rispetto alla sensibilità ebraica scriveremo Yhwh ). Non si tratta però di un vero e proprio nome, piuttosto è l’affermazione di una presenza, perché Yhwh significa “Io sono colui che sono”; frase a lungo interpretata da teologi e filosofi in senso metafisico ( Io possiedo l’Essere in pienezza ), mentre gli esegeti e studiosi della Bibbia la interpretano in senso storico, conformemente al significato ebraico del verbo essere (trovarsi in un luogo o situazione). Io sono colui che sono [presente] in [mezzo agli uomini, nella loro storia].
Nella mentalità di quel tempo il nome esprime la persona e possedere il nome significherebbe possedere la persona; in ogni tempo è forte la tentazione di “possedere” il divino per piegarlo ai propri scopi, ma Dio non rivela a nessuno, nemmeno a Mosè, una sua ipotetica essenza. Non si presta ad essere ingabbiato in schemi e definizioni, ma si dice presente e fedele all’uomo. Per l’ebreo, Dio è una Presenza sempre da ascoltare, mai compresa una volta per tutte, come fosse una verità statica, oggettuale. È una Presenza dinamica e dice amicizia, relazione; come in ogni relazione anche umana, dice cammino di conoscenza e di approfondimento.
Fin dagli inizi l’iniziativa è di Dio: è lui a scegliersi un popolo, a farsi conoscere come liberatore, a proporgli l’ alleanza , a dargli la Torah ossia quegli insegnamenti autorevoli che gli permettono di essere una collettività che “vive”. Non è il Dio di un luogo ma di un popolo; e quando il popolo va in esilio, Dio va in esilio con lui.
L’ebraismo, avendo chiaro il concetto di trascendenza (anche se non lo esprime con categorie filosofiche), quando vuole indicare la presenza di Dio tra gli uomini non parla direttamente di Dio ma di nube , o angelo , o gloria , o Sapienza : un qualcosa che insieme rivela e cela Dio all’occhio umano. Col popolo nel cammino dell’esodo c’è una colonna di nube di giorno, a proteggere dall’arsura; essa si fa fuoco nella notte, a illuminare e permettere il cammino. È la presenza di Dio, che accompagna e protegge.
Pur ponendosi davanti all’uomo per indicargli la via o sopra all’uomo per proteggerlo, pur essendo onnisciente, onnipotente, onnipresente, Dio non assorbe l’
io
umano ma rimane sempre un
tu
, partner di una alleanza. Trascendente e dialogante.
La relazione viene compresa sempre più come dettata e retta dall’amore. Le immagini si susseguono suggestive: Dio è
goel
(il parente prossimo che riscatta e vendica), è padre, ha viscere materne, è amico, infine sposo. Tra Dio e il suo popolo c’è comunione di vita come tra sposo e sposa, non però come nel mito cananeo in cui il dio-sposo feconda la terra della quale è Baal (Signore e marito), mito che viene rinnovato ciclicamente attraverso il rito e la prostituzione sacra. Il Dio d’Israele è lo Sposo del popolo e l’amore che li unisce ha una progressione e una storia, perché Dio si rivela gradualmente, secondo le capacità di comprendere dell’uomo ed anche perché il popolo è spesso infedele. Ma Dio ne ha misericordia e anche quando punisce lo fa per correggere e far maturare una consapevolezza (temi profetici sviluppati soprattutto da Osea, Deutero-Isaia, Geremia, Ezechiele).
Il luogo della comunione Dio-uomo è la storia d’Israele, una storia complessa, fatta di perdite e ritrovamenti. Il Cantico dei cantici ne è il racconto metaforico, sotto forma di canti nuziali e d’amore profano. L’amore personale e carnale che lega uomo e donna, infatti, diviene possibilità concreta e personale di sperimentare quella comunione; è luogo privilegiato, rivelativo della presenza di Dio. Proprio in quanto specchio della sponsalità divina, dovrebbe assumerne anche le caratteristiche di amore donativo e fedeltà perenne.
Si comprende in tal modo che Dio è unico ed è anzi un Dio “geloso”: come uno sposo preoccupato che la sposa non faccia cattivi incontri, con amanti interessati che la travierebbero. Dunque nessun idolo di fronte a Lui, a schiavizzare quell’Israele cui Egli ha dato la liberazione.
Nel confronto con la vita reale e poi con il manicheismo e le dottrine gnostiche, Israele si pone il problema del male. Rifiutando ogni forma di dualismo, riconosce che il male morale viene dalla libertà dell’uomo (Genesi 3), mentre il dolore e le avversità non possono risalire ad altri che a Dio; sono il mistero della creatura di fronte al Creatore (Giobbe, Qoelet e libri sapienziali in genere). Satana non coincide col principio del Male opposto al principio del Bene, ma è solo una creatura. A questo punto Israele, avendo rispetto a Dio la dignità di partner, può affermare, senza tema di essere irriverente, che la sofferenza innocente non assolve Dio; tema molto sentito soprattutto in tempi moderni, nei racconti dei
chassidim
.
In ogni caso la sofferenza è sentita come preziosa, perché è un’espiazione vicaria e va a favore dell’uomo peccatore (interpretazione evidente in modo particolare in Isaia, capp. 42-53).
La regalità divina è un’idea comune a tutte le religioni dell’Oriente antico. Le mitologie se ne servono per conferire un valore sacro al re umano, luogotenente terreno del dio-re. Attraverso la sua mediazione giungono tutte le benedizioni divine, compresa la fertilità della terra e la fecondità umana ed animale.
Gli ebrei pervengono all’idea della regalità quando da nomadi divengono sedentari e la lega di tribù si trasforma in monarchia: allora il tema dell’alleanza trova la sua traduzione ottimale in quello della regalità divina, al quale tuttavia conferisce un contenuto diverso rispetto ai popoli vicini. Non ne trae alcuna conseguenza per le sue istituzioni politiche: Yahwé regna su Israele, ma nessun re umano incarna la sua presenza in mezzo al popolo. Egli vuole che la sua regalità sia riconosciuta in modo effettivo mediante l’osservanza della
Torah
: il regno di Dio ha dunque carattere religioso e morale, non politico.
Ma i re, di fatto, spesso sono “empi”; i profeti allora avranno il compito di riportarli al loro ruolo subordinato nei confronti della legge di Dio. E quando la monarchia israelitica crolla essi annunciano che la regalità di Dio sarà restaurata alla fine dei tempi ed anzi si estenderà da Israele a tutta la terra: in un futuro escatologico, a Gerusalemme converranno tutte le genti per adorare il vero unico Dio.