a cura della dott.sa Francesca Merlo
Il mondo semita non s’interessa all’intima natura (la filosofia direbbe all’
essenza
) delle cose, ma le coglie nella loro funzione e nei reciproci rapporti; l’uomo è visto in relazione a Dio e questa relazione fondante sostiene le relazioni con i suoi simili e con il mondo intero.
L’ordine del mondo non è ad esso immanente ma è dato dall’essere “parola di Dio”. Tale parola creatrice è il primo atto della salvezza: la salvezza quindi è universale.
L’ebraismo non sposa un’antropologia ma ne contiene diverse, conformemente ai diversi sistemi di pensiero che possono essere assunti; la prospettiva prevalente nella Bibbia considera l’uomo come un essere unitario, che può essere visto da più aspetti: egli è (non ha ) anima, corpo, spirito e cioè può essere visto come io vivente, essere relazionale e mortale, emanazione del soffio divino che gli ha dato la vita. Ma nell’incontro con la filosofia greca il libro biblico della Sapienza può assumere categorie platoniche e parlare dell’uomo come composto di anima e di corpo.
L’uomo innanzi tutto è “immagine e somiglianza” di Dio e cioè ne è il luogotenente sul resto del creato. È costruttore con Dio, coopera al progetto iniziato con la creazione e questo lo apre alla storia. La storia tutta, in questa prospettiva, è “storia della salvezza”, segnata dal rapporto con Dio di cui Israele (con le sue fedeltà e infedeltà) è lo specchio. La concezione dell’uomo è quindi fondamentalmente positiva.
L’uomo è creatura: quando valica questo limite non si realizza ma guasta il rapporto con Dio, con i suoi simili e con l’intero creato. Il libro della Genesi parla di Adamo ed Eva nell’Eden che, mangiando il frutto dell’albero della “conoscenza del bene e del male”, intendono decidere del bene e del male, al di sopra di tutto e di tutti. Questo racconto del peccato posto alle origini sta proprio a indicare la radice di quella situazione di degrado che l’uomo di ogni tempo riscontra continuamente intorno a sè: il male entra nel mondo nel momento in cui l’umanità vuole farsi “dio di se stessa”, rifiutando un Principio etico superiore all’interesse personale. Con linguaggio di oggi potremmo dire: è delirio di onnipotenza, rifiuto di riconoscere il limite.
Riflettendo sulla storia, Israele vede il male propagarsi da una generazione all’altra, e portare con sé un insieme di mali. Risalendo all’indietro, fino alle origini, interpreta anche la realtà del male entro lo schema dell’ alleanza : Dio è sempre stato alleato dell’umanità cui aveva dato le sue benedizioni , ma l’umanità primitiva (Adamo ed Eva) è venuta meno al patto e si è attirata le maledizioni connesse all’inadempienza.
Nonostante tutto Dio benedice, mai maledice gli esseri umani; annuncia le tristi conseguenze del loro “farsi dio” (maledice il serpente e la terra), ma non rompe l’alleanza stipulata. È un Dio che per definizione - l’unica che si sia mai dato - è presente nella vita della sua creatura; rimane quindi fedele al patto “per amore del suo Nome”, non perché il partner sia altrettanto fedele. Anzi, è mosso a compassione dalla sua
nudità
(debolezza creaturale):
“il Signore Dio fece all' uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì”
(Gen 3,17).
Dio riprende il dialogo interrotto da Adamo ed Eva, interrotto ancora dall’umanità al tempo di Noè; dà segni di fedeltà all’uomo: l’arcobaleno per esempio, è l’arco da guerra che Dio ha deposto tra le nubi, come segno del suo impegno a non distruggere l’umanità, anche quando l’umanità se lo meriterebbe (
L'arco sarà sulle nubi... per ricordare l’alleanza eterna tra Dio e ogni essere che vive in ogni carne che è sulla terra
- Gen 9,16, dopo il diluvio).
Infine si sceglie un popolo come portavoce e gli dà la
Torah
, perché “viva” e mostri anche agli altri la via della vita. L’umanità e lo stesso Israele rompono continuamente il patto, ne pagano le conseguenze, ma Dio offre sempre un’altra opportunità alla sua creatura.
Fin da ora chi osserva la
Torah
si rende libero dalle conseguenze del primo peccato, origine ed archetipo di tutti i peccati esistenti. Ma solo con l’avvento del Messia il male sarà sconfitto definitivamente.
b. L’osservanza e la Torah orale.
Dunque, le istruzioni o “parole” di Dio non sono contenute in un codice legislativo completo e sistematico, ma sono sparse nella storia del popolo d’Israele e del suo rapporto con
Yhwh
.
La
Torah
ne è il documento primario ed è la sorgente delle 613
mitzvot
o precetti e della maggior parte della sua struttura etica.
La
Torah
scritta è contenuta nei primi cinque libri della Bibbia o Pentateuco.
Dal I secolo ad oggi la
Torah
viene letta tutta nella sinagoga, suddivisa nei sabati di un anno (è prevalsa la tradizione babilonese, che ne legge porzioni sabbatiche più lunghe; la tradizione palestinese leggeva la
Torah
nel giro di circa tre anni); i libri profetici ne sono considerati un commento autorevole e vengono letti come commento alla
Torah
, i salmi sono soprattutto pregati come introduzione alla liturgia e infine i libri di Ester, Cantico dei Cantici, Ruth, Lamentazioni, Qohelet, detti “i Cinque Rotoli”, vengono letti in occasione in occasione della Pasqua e di altre solennità.
In tutte le religioni rivelate o “del libro” è presente anche una Tradizione, che completa il testo scritto, attualizzandolo nelle mutevoli condizioni storiche. Nell’ebraismo, inoltre, essa risponde alla necessità di esplicitare alcune norme che nella Bibbia sono soltanto citate, sottintendendo l’esistenza di altre norme di tipo applicativo: nel libro del Deuteronomio, ad esempio, troviamo il comando “Potrai ammazzare il bestiame grosso e minuto nel modo che io ti ho prescritto” (Dt 12, 21) ma il modo prescritto da Dio nella Bibbia non si trova.
Di qui la necessità di ammettere una
Torah orale
accanto a quella scritta, parimenti antica e autorevole.
Nel corso del tempo la Tradizione si arricchì di insegnamenti e sempre più fu sentita come capace di dare vita e rilevanza al testo sacro. Divenne importante in quel trapasso culturale e religioso che fu l’esilio in Babilonia e il nascere del giudaismo; fino alla conquista romana fu trasmessa a voce, ma le persecuzioni, le diaspore, le dispersioni delle scuole consigliarono di metterla per iscritto e allora gradualmente ne nacque il
Talmud
.
La trasmissione e lo studio della
Torah
(scritta ed orale) costituiscono fino ad oggi un obbligo fondamentale per ogni ebreo. Fino al 70 d.C. l’ebraismo era tenuto unito anche dal tempio e dall’autorità, mentre oggi la
Torah
è rimasta l’unico elemento che sicuramente tiene unito l’ebraismo. Riporta alle proprie radici e alla propria identità un popolo altrimenti disperso; per questo viene studiata da tutti gli ebrei, anche non credenti, perché anch’essi la ritengono patrimonio irrinunciabile.