I libri


Testo

Darete Frigio

Discorso Sulla Patria Di Omero
E Sull’Epoca In Cui Egli Visse

Omero, di cui si celebrano con tanto fasto l’Iliade, e l’Odissea, come i due capi d’opera dell’epica poesia greca, ond’ha riscosso tante lodi dai dotti, e tanti altari dai grandi; è stato sempre da tali tenebre coperto su tutt’ i punti della periferia della sua persona, e delle sue opere medesime, che ha esaurito tutti gli sforzi dell’umana erudizione de tempi, per squarciarsegli almeno il lembo di quel velo, che lo nasconde agli occhi dell’indagine la più penetrante. La curiosità sempre delusa nelle sue ricerche e sempre agitata dalle smanie della scoperta ebbe ricorso fino ai sortilegi, ed evocò l’ombre de’ morti, quando le mancarono i mezzi de’ viventi, senzachè per questa strada ridicola, ed abbominevole avesse potuto il minimo lume acquistare, che al suo disegno corrispondesse. Quest’0mero medesimo è stato inutilmente così notomizzato per tutte le linee, che lo intersecano, che omai non vi resta, che la sola impudenza, la quale possa tentare delle ulteriori ricerche su di lui, e su dell’opere sue. Di queste opere medesime se n’è detto tutto il bene, e tutto il male possibile a segno, che non è più del decoro d’un uomo il prender partito tra le due classi contendenti, che si han diviso il campo omerico, per rinnovargli gli afforchi, o sostenerne le difese. Il nome istesso d’Omero è stato il primo soggetto delle inutili perquisizioni dei dotti, spogliandolo alcuni della significazione di una individuale esistenza, per attribuirgli quella di una classe, che avesse ora dinotato il Cieco, ora il Musico, ora l’Ostaggio, ed ora infine la prodigiosa ciocca di peli nati nella sua coscia. La sua cecità medesima, per la quale si sono molti dichiarati, per essere avvenuta in un modo tutto miracoloso, si è resa più dubbia ed incerta. E quelli medesimi, per li quali Omero suona un nome specifico, non convengono poi nel nome individuale; chiamandolo alcuni Meonide, altri Melesigene, secondo i diversi padri, dalli quali lor piace di farlo nascere. E nella inconciliabilità delle diverse denominazioni Luciano scherzando fa dire allo stesso Omero, che il suo nome era Tigrane, scambiatogli dai Greci, quando andiede ostaggio in Smirna.

Se tanta è l’incertezza sul nome dell’autore dell’ Iliade, e dell’Odissea, quanta esser dee quella de’ di lui genitori? La storia della sua miracolosa genesi per un genio della conversazione delle Muse nell’isola di Io, quando Nitrèo figlio di Codro andò nella Ionia colle armate degli Ateniesi, è solo a portata e fatta per dilettare i ragazzi. Né più verisimile è quella di Alessandro di Pafo, che gli dà per padre Damasapora, e per madre Eera, e che lo fa nudrire da una balia profetessa d’Iside, dalle di cui mammelle stillavano gocce di mele, con tutti quegli altri portenti, che seppe Eliodoro raccogliere dalla storia Etiopica, per abbellire la straordinaria nascita di Omero.

Ingegnosa è poi quella di Erodoto, che lo fa abortire da Cliteide fatta gravida dal suo tutore Cleanette; e ‘l fa poi istruire nella poesia, e nelle lettere da Femio maestro di scuola di Smirna, che sposò sua madre per la di lei bellezza, e del quale egli medesimo ne fa menzione nella sua Iliade, come uno di quegli epici, che prima di lui scrissero della guerra di Troja. E per conchiudere sui padri attribuiti ad Omero, basta sapere, che ogni scrittore, ogni città gli regalò i suoi, perché nella moltitudine, e nella incertezza di tanti, non avesse avuto neppur uno di certo.

L’ignoranza del suo vero nome, l’incertezza dei suoi veri genitori mena all’ignoranza ed all’incertezza medesima della sua vita resa tanto più inestricabile, quanto meno egli medesimo nelle opere sue ne parla. E quel poeta, che ha fatto, così bene la storia degli Dei,e de’ suoi Eroi, ha trascurato quella di se medesimo, perché si fosse tutto ignorato.

Ma quale ignoranza, quale incertezza, e quai dubbj sulle opere, che gli vengono attribuite, e su di cui si è versato l’oceano tutto dell’umana erudizione? Di esse si SONO rilevate tante virtù, e tanti vizj insieme, che omai la cosa è a questi termini ridotta, di non potersi più dire di Omero qual sia il meglio, quale il peggio nelle sue opere. Il mondo letterario è diviso in due classi. Di qui stanno i panegiristi, e di là i censori. Le loro dispute eterne accrescono, invece di dissipare i dubbj delle bellezze, e delle deformità imputategli.

Per la prima parte i versi di Omero sono temperati di ambrosia, e di nettare: non sono essi, che un elogio perpetuo della virtù: l’opere sue costituiscono l’enciclopedia universale di tutte le scienze, ed Omero l’arci-Proteo letterario, per divenire ogni momento quel che si vuole, il generale di armata il più esperto, il geolosofo più addomestichito colla natura, il geografo il più esatto, l’astronomo il più cospicuo, il politico più destro, il teologo meglio versato negl’intrighi degli Dei, il medico, il cerusico, il bottanico, il chimico, in una parola, l’ontiscio (rodolfo). Nelle sue opere in somma vi è tutto, e se volete, si è portata tant’oltre l’impudenza, che si è voluto far credere che Omero fosse un ispirato, e fino un Giudeo mascherato per timore della greca inquisizione: che l’opera sua fosse la prima Apocalisse, ed egli il primo Profeta: quindi col favore delle allegorie si è trovata nell’Iliade simboleggiata l’espugnazione di Gerico, e la desolazione di Gerusalemme, e ne’ re della Grecia i principi degli Ebrei; nell’Odissea l’uscita di Loth, e de’ Patriarchi dalla terra de’ loro avi; e per poco ascolteremo da quei che portano a tali eccessi la riputazione di Omero, che gli ultimi avvenimenti, che hanno fatto tanto rumore in Europa, erano tutti simboleggiati nello sbarco di Protesilao, nella spedizione de’ Principi Greci in Troja, e nella gita d’Ulisse nelle isole di Calipso, o di Circe.

Ecco dove mena un eccesso di prevenzione per le opere di Omero, che dall’altra parte si degradano al segno, che si fa Omero tormentare nell’Inferno dalle Furie armate di flagelli di serpenti per le sacrileghe menzogne contro gli Dei vomitate, che Senofane calpesta; ch’altri cacciano fuori la lizza poetica a ceffate; ch’altri prendono per pazzo, e per frenetico, e ne condannano l’ombra all’ammenda di 50 dramme; che la di lui scienza, come abborrevole condannano; che alcuni alla recita dé’ di lui versi si otturano le orecchie; e che altri sdegnano finonché di ascoltarne il solo nome. Chi gli scrive censure, e chi di nero sale il condisce; e chi alla fine con Partenio il gittano avvolto tra le sue opere nel fango. Per sino Caligola aveva a tale disprezzo i suoi versi che per seguire il disegno di Platone, il voleva proscrivere dal Lazio, ed interamente abolire le sue opere. Ecco dove porta l’opposto eccesso, che bilancia il vizio del primo.

Ma queste opere, delle quali la venerazione si è portata tant’alto, ove nissun’altra umana produzione può lusingarsi di giungere, e delle quali si è detto tanto male, e si è avuto tanto dispregio, quanto non è a temersi che se n’abbia per qualunque altra, la più sciocca che vi possa essere, furono effettivamente di Omero? Ecco a mio giudizio la prima delle quistioni ad agitarsi.

Quello che di esse costa, si è che fin sotto Licurgo, e dopo di lui i cantori greci recitavano avanti le porte de’ loro grandi varj di quei pezzi, che oggi compongono l’Iliade , e l’Odissea; pezzi, che Licurgo fece dalla Jonia raccogliere, e che Ipparco figlio maggiore di Pisistrato protettore de’ letterati del suo secolo, come l’attesta Eliano lib. 8, cap. 2, comandò, che si cantassero ne’ Panatenei, e che poi fece egli cucire per far risultare quei due tutti, che si appellano Iliade, ed Odissea; essendo risultata la prima dai pezzi del duello di Patroclo, della sua morte, de’ giuochi funebri, del duello d’Achille con Ettore ec., e la seconda dagli altri pezzi delle favole di Alcinoo, della grotta di Calipso, de’ lavatoj di Circe, dell’antro di Polifemo ec. Or questi pezzi erano le parti, in cui i Rapsodi avevano risoluto Omero, o le parti, che composero Omero? Quistione anche difficile, e non ancora risoluta. E se erano le parti smembrate dal loro tutto, e poi rimesse nell’ordine primiero, e ricucite, questi tutti erano tutti di Omero, o li aveva Omero ad altri poeti epici più antichi di lui involati? E se questo sembra di persuaderlo la varietà degli stili, e de’ dialetti, ed il sublime, che confina in più luoghi col tenue sparso per tutte le opere, di Omero, quali furono quei primi epici, che somministrarono ad Omero i materiali, o le intere opere loro? Altra quistione più difficile delle prime. Da ciò che saremo per dimostrare, si rileva, che quando Omero fosse il vero autore dell’Iliade, e dell’Odissea, egli non scrisse queste opere che cinquecento anni dopo la rovina di Troja, e che questo lunghissimo intervallo è pieno di poeti epici, che scrissero le loro Iliadi, avendo Troja somministrato ai Greci materia alli loro trionfi, ed alle loro poesie.

E se vogliamo stare alle autorità de’ più antichi scrittori e di Omero medesimo, Palamede di Nauplio, che militò nella guerra di Troja tra i principi greci, che inventò i caratteri dorici, le misure, i pesi, l’arte di fare gli accampamenti, fu il primo, che scrisse la sua Iliade; ma siccome questo fu ammazzato nei primi anni di quella guerra, non mi sembra aver potuto menare a fine la sua Opera, e forse quella scritta dall’Iliese Corinno suo discepolo, fu quella da Palamede incominciata, e sul medesimo piano proseguita. Suida non aveva un interesse a creare Palamede autore della prima Iliade; nè Nicola Leonico di proposito ci avrebbe ingannato, quando scrisse al lib. 5, cap. 23 «Corinno Plieo» se fu un poeta più antico di Omero, discepolo di Palamede, molto illustre nell’arte poetica; il quale fu il primo che scrisse la guerra di Troja negli alloggiamenti de’ Greci in lingua dorica, della quale fu inventore Palamede, e tenne l’ordine medesimo tenuto da Omero nelle sue opere; anzi dicono, che Omero tolse ogni cosa da lui, che prima avea scritto in versi antichi la guerra di Dardano coi » Paflagoni. Or se Omero tenne l’ordine istesso di Corinno, se Corinno ha preceduto Omero di anni cinquecento, chi non è tentato di credere, che almeno l’Iliade di Omero sia quella di Palamede, o di Corinno, di cui ne soppresse il nome, e ne disperse l’originale, ed avviso di molti, per esser egli creduto l’autore di ciò che suo non era? Nè questi soli precedettero Omero fra quanti scrissero della guerra di Troja. Omero medesimo fa. menzione di Dedoco di Corcira, e di Femio, che prima di lui scrissero l’Iliade, e per tacere di Sisifo, e di Siagrio, può mettersi in dubbio, che Ditte Candiano segretario d’ Idomeneo, e Darete Frigio sacerdote di Vulcano avessero scritto di quella guerra, alla quale furono essi presenti! Omero medesimo ne fa menzione al lib. 5 della sua Iliade. Né può riuscire possibile indicare le opere, ed i nomi di tanti Poeti, che per servire alla gloria nazionale scrissero su di una guerra così famosa pel suo motivo, per la durata, e per la conseguenza di cui ne risentirono l’Asia, e l’Europa, per conchiudere, che, quando Omero fosse l’autore delle SUE Opere, aveva avuto infiniti originali da imitare, o copiare Partendo da questi principj, mi pare, che si vada per una strada molto declive a questa illazione: Che le opere, di cui si fa andare tanto superbo Omero, fino a conservarsi da Alessandro nella cassetta preziosa di Dario, e che hanno all’Autore meritato il principato tra gli epici, onde gli Argivi, secondo Eliano lib. 9, cap. 15, vollero, che Omero «fosse il primo tra tutt’i poeti, e facendo i sacrifìcj, invitavano Omero, ed Apollo al convito, ed alla solennità: e che non sapendo, come maritare la sua figlia, le diede IN dote la Poesia Cipria, secondo scrive Pindaro: Nè solo (come dicevasi) le opere sue gli meritarono questo, ed altro, ma soprattutto un tempio sulla terra ed uno scranno nel cielo; queste opere possono gli a ragione essere contrastate o nel tutto, o nel meglio; perché non è verisimile, che avendo, come profittare di quelli originali, abbia tolto l’altrui peggio, per dirsi che il meglio sia suo; che anzi avendo tolto l’altrui meglio, per compiere il suo disegno, l’abbia supplito di quel peggio, nel quale si vede spesso addormentato secondo la frase d’Orazio.

Ma indipendentemente da tante Iliadi, che han preceduta quella di Omero, non poteva Omero comporne una tutta sua in nulla imprestata dagli altri? Certo, che sì; ed in grazia dell’acquistata riputazione di Omero, realizziamo ancor noi questa ipotesi, e crediamo quello, di cui tutto il mondo ne dubita; ma la nostra credenza esclude forse, i dubbj altrui? Questo poi no e conchiudiamo, che Omero, la sua vita, le sue opere istesse sono un mistero impenetrabile ed un enigma indissolubile. In sì generale incertezza di tutto quello, che riguarda Omero; ed in grazia dr quella specie di smania, che agita tutti, per sapere la più picciola, e minuta particolarità d’un uomo reso così celebre, e così ignoto, spero di portare un piccolo lume tra le dense tenebre, che lo ricuoprono, e mi lusingo, che la repubblica delle lettere, riguardando al mio servizio, mi sarà grata d’una scoperta, che io medesimo mi maraviglio, come non siasi da molto prima già fatta, intendo della Patria di Omero, e del periodo di tempo in cui visse.

Per quanto sorprendente fosse la cognizione di tanti letterati, che han parlato di Omero, e che potevano portare qualche dilucidazione sul bujo, che da ogni lato il ricuopre; ho notato con mia sorpresa che nissuno di quanti si sono impolverati nelle antiche Biblioteche, si fosse mai incontrato con Antiloco, coetaneo di Omero, il quale scrive de’ tempi, e dal quale si dà un succinto racconto de’ diversi Omeri esistiti ad epoche diverse, e delle loro patrie rispettive, ed altre diverse particolarità relative ad ogni Omero, ed al nostro.

Quest’autore scappato all’altrui indagine, e che per sorte io conservo stampato in Venezia nel 1500 insieme con altri autori anche antichi in un volume medesimo, mi ha determinato a seguire il consiglio del signor Cesarotti, Parte I, Sezione 1. «Che chiunque può dare una qualche notizia corrispondente all’idea già concetta di un uomo sì grande, di cui se ne ignora la storia, acquista credito, e grazia.»

E perché non fossi sospettato della creazione di un autore forse da nissuno, o da qualcuno conosciuto finora, ne trascrivo letteralmente il testo, per quanto riguarda la Storia degli Omeri, la patria, e l’età, in cui visse quello, cui sono l’Iliade, e l’Odissea attribuite. Egli dunque, dopo di aver detto, che da Nino sino al secondo anno di Sfero, in cui nacque Deucalione, passarono anni quattrocento cinquantuno, e settecento dal primo diluvio novimestre, dal quale sino a Troja Mnasea ne raccoglie ottocento ventotto, continua così il suo discorso.

Regnarono in Troja sei Re, Dardano anni trentuno; Erittonio settantacinque; Troe sessanta; Ilo cinquantacinque; Laomedonte trentasei; e Priamo quaranta. Seguirono anni cinquecento dalla presa di Troja sino alla XXIII Olimpiade, né’ quali fiorirono otto Omeri.

Parlasi del primo negli annali di Teuteo re degli Assirj, e quest’Omero fu Smirnio, e prefetto del medesimo re poco innanzi, che gli Eraclidi andassero nel Peloponneso, e propriamente l’anno venti di Demofonte re degli Ateniesi, quando Pirro fu ammazzato da Oreste nel tempio di apollo in Delfo.

Dopo di questo seguì Omero Chio, il quale secondo le Istorie de’ Chiensi, fu peritissimo di medicina, e ciò intorno all’anno diciannove di Melanto re degli Meniesi.

Il terzo fu Omero Cumeo, il quale secondo che narrano i Cumei, piuttosto fu mago, che uomo letterato, e visse circa l’anno ventiquattro di Codro re degli Ateniesi.

Il quarto fu di Salamina di Cipro, e fu un mercante ricchissimo, e visse circa l’anno secondo di Agasto Ateniese.

II quinto fu Colafonio, celebre nell’arte di dipingere, e scolpire, secondo li Jonj.

Il sesto fu Ateniese, il quale sotto Archippo fu illustre, per aver rivocate le antiche leggi, e fatte le nuove.

Il settimo fu Argivo, perito nella musica, e nella geometria, e visse ai tempi di Diogenito Ateniese.

L’ottavo è della nostra età, il quale nell’Olimpiade XXIII, e dopo la rovina di Troja anni cinquecento nacque in Meonia, Fu vincitore ne’ giuochi olimpici, ed a giudizio di tutta la Grecia sommo poeta giudicato.

A lui solo fu data l’impresa d’emendare i caratteri, ed i nomi della lingua greca, che Cadmo Samo-Trace portò barbari, e rozzi dopo rovinata Troja; essendo tornato dopo che fuggì per lo travaglio datogli dalla prima moglie, perchè aveva presa una seconda chiamata Armonia. Sono dunque i caratteri di Omero acconci, e più belli, in luogo de’ primi barbari, e dissimili dai Fenici, che anzi tengono la figura de’ Gallati, e de’ Meonj. Il medesimo Omero, oltre i caratteri, che riformò, diede il primo i precetti della grammatica; giacchè prima di lui si parlava, e scriveva corrottamente, e questi precetti furono portati in Italia, e propriamente nella Magnia Grecia accettati.

Ecco l’intiero testo di Antiloco, sorgente feconda di molle deduzioni certe, comechè necessariamente dall’autorità d’un coetaneo di Omero, come chiaro rilevasi dalle parole».

L’ottavo è della nostra Età; e comechè quest’ottavo è quello, che la Grecia intera riputò sommo Poeta, ne siegue. 1° Che quest’ottavo Omero nativo di Meonia è l’Omero autore dell’Iliade, e dell’Odissea.

2° Che con ragione non diciannove città greche, ma otto si potevano disputare la cittadinanza di Omero, cioè, Smirna, Chio, Cuma, Salamina, Colofone, Atene, Argo, e Meonia, come quelle, ciascuna delle quali aveva avuto effettivamente un Omero, che equivocando con quello di Meonia, che ha meritata la venerazione di tanti uomini illustri per l’Iliade, e l’Odissea, SI avevano questo appropriato in vece degli altri.

3° Che il nome di Meonide dato da alcuni ad Omero, non fu un di lui nome proprio, ma patrio; e che questo, che sarebbe bastato a fissare la sua patria, allucinò i dotti fino a supporlo un uomo individuale, e non già comune a tutt’i Cittadini di Meonia.

4.° Che non si era ingannato il Signor Duca Macciucca, quando corresse l’errore di Tolommeo, che in dipingere intorno all’altare di Omero le Città, che pretendevano di aver veduto di nascere Omero, trascurò Napoli, abitata dai Cumei Colonia di Cuma, ch’ebbe anche il suo Omero; benché sussiste la difficoltà, che Antiloco non ha dileguata: se Omero il Mago fosse di Cuma d’Eubea, di cui Colonia è la nostra, ed anche Napoli, o di Cuma Eolica; ma comunque, l’Omero, che pretendevasi nostro concittadino per dritto Coloniale, non è più quello ma un miserabile Mago, ed ignorante, la di cui cittadinanza non credo, che oggi sarebbe stata gradita dal suddetto Sig. Duca.

5° Che la contesa Civica decisa a favore di Meonia mette fuori dritto tutte le altre Città pretendenti, e risparmia oggi innanzi ai dotti le indagini, appagando il desiderio vivissimo di conoscere quella terra felice, che diede i natali al Principe di tutt’i Poeti. Ma come Antiloco ci ha fatto la grazia di farci conoscere la patria del nostro Omero, e l’equivoco, perché altre sette città greche vomitavano un quasi dritto alla nascita di Omero, per avere ciascuna di esse avuto un altro Omero, così ci fa anche il favore imprezzabile di farci sapere il periodo preciso, in cui visse Omero, il quale dilegua tutte l’epoche false a quello assegnate, perchè figlie non dell’autorità d’un coetaneo, ma di supposizioni, ed ipotesi, onde ne siegue:

1° Che Omero non visse anni sessantotto, o trecento dopo la rovina di Troja, ma cinquecento; periodo il più rimoto di quanti gliene erano stati assegnati; e come la verità combina sempre coi fatti reali, così quest’epoca combacia con quella degradazione di forze fisiche del genere umano, di cui fa menzione Omero, allorchè dice, che il sasso, che tirò Ajace ad Ettore, quando incendiava le navi, era di tale grandezza, che due uomini della sua età lo avrebbero appena smosso da terra; e ciò si spiega bene colla decadenza delle forze, che soffre la specie umana in sì lungo intervallo, quandochè in un periodo più breve questa degradazione si sarebbe fatta con un passo assai accelerato, e che male avrebbe corrisposto all’esperienza, ed alla storia dell’uomo, che ci ha fatto conoscere lo sviluppo del suo spirito umano camminare sempre in ragione diretta della perdita delle forze fisiche, che fa giornalmente.

2° Che dall’epoca fissata a cinquecento anni dopo Troja per la vita di Omero si deduce, che lo sviluppo delle arti attribuite da Omero al secolo di quella guerra, il gusto , e le cognizioni de’ suoi eroi erano piuttosto della conoscenza del suo secolo, che di quello della guerra di Troja, in cui quegli uomini erano ancora nella barbarie; e difatti il nostro Darete Frigio, che incontrastabilmente in preferenza di tutti gli antichi scrittori d’Iliadi è stato il più sincero, ed il meno favoloso, come anche lo stesso Ditte Candiano non esprimono mai alcuna idea di fasto, o di grandezza; nè fanno parola del carro di ebano di Priamo, e dello scudo intagliato di Achille, nè d’altra cosa, che dasse il minimo sospetto di quel lusso asiatico, che già regnava in quei luoghi ai tempi di Omero.

3.° Che se al secolo d’Omero si perfezionarono ancora i caratteri, e si diedero i primi precetti della grammatica, come cinquecento anni prima gli eroi di Omero avean tante conoscenze, quante egli gliene attribuisce? Ciocchè ci fa conoscere, ch’egli trasportò al secolo di Troja tutti quei lumi, ch’erano del suo tempo, e che non potevano andare insieme con una barbarie così remota.

Queste riflessioni nascenti dall’incontrastabile autorità d’Antiloco coetaneo di Omero, nell’atto che stabiliscono la vera sua patria, e l’epoca precisa della sua vita, due punti rimarchevoli finora ignorati, e che possono essere oggi sorgenti di nuove dilucidazioni sul resto di quanto riguarda un poeta così cospicuo, mi fanno sperare dai dotti tutto quel compatimento necessario, per rendere sopportabile la traduzione di Darete Frigio, e di Ditte Candiano, che sono serviti d’occasione ad una tale scoverta, e meritarmi dalla Repubblica delle lettere quella grazia, che ad un servizio sì rilevante è dovuta; contento altronde, che se la mia nazione d’oggi innanzi non potrà più gloriarsi d’aver dritto al la cittadinanza di Omero, potrà non pertanto vantarsi d’essere stata la prima a discuoprire la patria ove nacque Omero, e l’epoca nella quale egli visse.