Le ree tue membra faccian lacerate
Cavalli spinti per opposta via,
Onde tue doglie a un sol non fian svelate:
O soffri il duol, che un giorno sofferta
Dal Punico sovran, chi ad un Quirite
L'esser redento cosa vil credia.
Né a te sorrida alcun Celeste mite,
Come a quel sire, che di Giove Erceo
L'are trovò d'ogni pietà svestite.
E qual dell'Ossa un dì Tessal cadèo,
Così tu ancor da scogli irti elevati,
Un salto spicca micidiale e reo.
O le tue membra sian d'anqi affamati
Pasto crudel, come d'Eurial, che a quello
Togliere iniquo osò gli scettri aurati.
O infuso caldo umor sovra il cervello,
Come a Minosse, estingua i giorni tuo,
E inanzi tempo schiudati l'avello.
E col tuo sangue enutri gli avvoltoi,
Qual d'Asia il figlio su di rupe avvinto,
D'immite cor, ma ulto de' falli suoi.
ovver qual Etracide, il dieci quinto
Appresso Ercole il grande, alcun conceda
Ai flutti d'amplo mar tuo frale estinto.
Od un garzon di turpe fiamma preda,
T'odii, come d'Aminta succedea
Al figlio, e crudo in mezzo al cor ti fieda.
Né appressi il labbro tuo tazza men rea
Di quella offerta all'orgoglioso sire,
Che il tuo natal da Giove Ammon traea.
Oppur suspenso possa tu morire
Acheo novel, triste! nell'onda immerso,
Che sabbia d'auro tra suoi flutti aggire.
O trave, cui sospinse braccio avverso,
Ti schiaccii come quei, che entro le vene
D'Achille il sangue milantava terso.
Né l'ossa, tue riposin più serene
Degli avanzi di Pirro sanguinenti
Sparsi d'Ambracia in sulle nude arene.
O qual Laodamia, contro te s'avventi
Nugol di teli: a Cerere non lice
Dissimular si delittuosi eventi.
O liba tu per man di genitrice,
Come il nepote del sovrano or detto,
Umor, cui da cantaridi s'elice.
O adultera l'acciar ti spinga al petto,
E pia si dica, come chi dell'ira
Sua fe' sentire a Leucon l'effetto.
Furioso ascendi la corusca pira
In un coi figli palpitanti e cari;
Così morìo l'estremo re d'Assira.
Ti copra i rai dagli Austri limitari
Sospinta arena, come a chi tramava
di Giove Ammone denudar gli altari.
O strozzi a te il respir cenere prava,
Come a color, cui Dario secondo
Del di la luce callido predava.
Ti tolga e fame e gel di questo mondo,
Come quel tal, che espulser di Sicione,
Di pingui olivi suol così fecondo.
O qual d'Atarno il figliuol, prigione
In ore di giovenca, alcun ti porte
Vituperosa preda al tuo padrone:
E nel tuo letto marital la, sorte
Ti tolga di Fereo, cui l'atre dita
Feano svenato della sua consorte.
E prova infido a prezzo di tua vita
Chi credevi fedel, qual del figliuolo
Di Tiodamante rege a noi s'addita.
E qual crudo Milon, onde ebbe duolo
Di Pisa il popol, tal t'inghiotta vivo
Onda fremente dentro l'imo suolo.
E i teli stessi del supremo divo.
Che al re Adimanto fur così funesti,
Faccian te pur dell'alma luce privo.
Nella terra d'Achille senza vesti
te lascin qual Lerneo diserto errante
Colà d'Amastri sovra i lidi mesti.
Ovvero sii novello Euridamante
Dal carro spinto di Larissa offeso
All'ossa intorno di Trassillo affrante.
O come quei, che col suo corpo leso
Spesso fu tratto a labil muro intorno,
Cui già facea pel suo valor difeso;
E qual si narra sofferisse un giorno
Estranio duol l'Ippomeneide, e 'l drudo,
Cui trascinar per l'attico soggiorno:
Sgombro appena così lo spirto ignudo
Dall'ossa invise, del tuo brutto frale
Quadrighe ultrici faccian scempio crudo.
E alcun vi sia, che a scopulo ferale
Figga tue membra, qual de' Greci è voce,
D'Eubea là presso al litore fatale;
E qual periva quel ladrone atroce
Per l'onda e il foco, così il foco all'onda
Congiunte in nodo stran, ma pur feroce,
Per sempre all'orbe il vil tuo ceffo asconda.