Ibis capitoli


Testo

IBIS CAPITOLO VI

Straziin le furie il tuo vecorde spiro,
Come a colui, che tutte l'ossa affrante
Da vulnere sentia letale, e diro.
Ovver come al figliuolo di Driante
Tracio sovran, che socco disuguale
Portar doveva in gemine le piante.
Come ad Alcide, o a quei, che il suo natale
D'Eolo trasse, o a Oreste, o a chi la nata
D'Alcmone strinse in nodo maritale
Né più pudica donna a te fia data
Di chi fu nuora al misero Tideo,
Per cui chinò la fronte vergognata;
Né d'Ipermestra, che l'incesto reo
Col levire coprì, spingendo ahi fera!
L'ancilla insonte nell'umor Leteo.
Moglie a te doni il Ciel fida e sincera,
Come lo fu del vilipeso Atride,
O d'Anfiarao la barbara mogliera.
Ovver siccome le Danaidi infide,
Che ne' cugini il rio pugnale han fitto,
Onde il lor fianco l'acqua ognor conquide.
Fia di tua suora il sen da fiamma vitto,
Che a Biblide, e Canace ardea le vene,
E a te sia nota sol pel suo delitto.
Se figlia avrai, di Pelopea le scene
Rinnova, e soffrì l'impudico scorno
Del genitor di Mirra, e Nittimene.
Né il cor di maggior pietà, o fè sia adorno,
Di quel fosse per te, Pterela, o Niso,
La gelid'alma delle figlie un giorno.
O di colei, che il padre feo conquiso
Con rota micidial, d'infame il nome
Lasciando al loco di tal sangue intriso.
Ovvero possa tu morir, siccome
Quelli, i cui teschi dalle eccelse porte
Pendean di Pisa per le bionde chiome,
Come chi tinse con ben giusta sorte
Del proprio sangue il suol, che inumidiva
Spesso dei Proci con la triste morte.
Come l'auriga traditor periva
Del tiranno crudel, che die' novella
Voce Mirtöa all'onda, in cui moriva.
Come color, che la veloce puella
Invan disiâr, mentre il suo piè fèr vinto
Tre poma, ch'una man gittò rubella:
Come color, che entrar di laberinto
Nei molti giri, 've di forme dire
Terribil mostro si teneva avvinto.
O dei dodici al par, cui feo morire
Di Teti il figliuol, dentro la brage
Gittando i corpi d'elevate pire.
Come gli illusi dalla oscura ambage,
Di cui la Sfinge con crudei diletti
Leggiam facesse una nefanda strage,
O come quei cui l'alma uscio dai petti
Della Tracia Minerva entro i delùbri,
Onde oggi ancor la diva i lumi ha stretti.
Come coloro, che di sangue rubri
Fero i presepi del monarca Trace,
A crudi destrier pasti lugubri:
Qual chi provò il crudel dente vorace
Del lion Terodamanteo, o gli immolati
Nella Tauride alla Toantea procace.
O come quei, che di pallor velati
Scilla, e Cariddi opposta col rio dente
Al pin Dulichio ferono strappati.
O come lor, che dentro l'epa ingente
Giù trasse Polifemo, o chi il piè spinse
Dei Lestrigoni in la magion dolenlte.
Come color, che dentro un pozzo estinse
Di Cartagèna il duce, e con granei
Di sparsa polve l'onda in bianco tinse.
E qual perir le donne, e i Proci rei
Di Penelope, e chi contro al marito
A lor somministrava aste e coltei;
Qual fu strozzato il lottator dal dito
Del Greco forestier, che profligato
Novello ardir prendea, caso inaudito!
Come coloro, cui toglieva il fiato
Anteo robusto, e quei cui feo lo sdegno
Del Lennio stuol subire un crudo fato.
Come l'autor di sacrifizio indegno,
Che ad ostia ei dato, dopo lunga arsura
La pioggia ottenne dall'etereo regno.
Qual Busiri, che fe' di sangue impura
L'ara (e il merlo), seguendo ei stesso infame
Delle sue prede la crudel ventura;
Come quel triste, che d'uman carname,
Del fieno invece, agli atri corridori
Saziar soleva la terribil fame;
Come quei duo, cui dilaniava i cori
(Eurition vo' dir, e il crudo Nesso)
Un vindice medesmo in varii albori;
Come, o Saturno, il tuo nipote istessso,
Del quale contemplo la fera agone
D'Apollo il figlio a sua cittade presso:
Come Sini, Sciron, Polipemone
Col figlio, e quei, che nelle membra avea
Di tauro, e d'uomo la bizzarra unione:
E quei, che all'aure dalle zolle ergea
I pin curvati, mentre il doppio flutto
Con piglio sevo ad esplorar siedea;
E Cercion, cui da teseo distrutto
Mirar poté la dea de' cereali
Tranquilla in volto, e col bel ciglio asciutto;
Vittima sii così di questi mali,
Cui l'equo sdegno mi strappò dell'alma,
Ovvero immenso stuol d'affanni eguali
Un solo istante nieghi a te di calma.