Ibis capitoli


Testo

IBIS CAPITOLO IX

Se il disco lancierai per l'aer vano,
Nel suo cadere ti sfracelli i rai,
Come successe al giovane Spartano.
L'onda qual sia, cui frangere dovrai
Colla spossata man, dell'Abidena
A te si mostri più crudele assai.
Quale affogava in mezzo all'onda piena
Comico autor, così ti faccia estinto
Flutto, cui lambe l'Avernale arena.
Od il tumido mar, naufrago, vinto,
Qual Palinuro scendi ai tristi mani
Appena il lido avrai col piede attinto,
Rabido stuol di vigilanti cani
Squarcii te pur, come il tragico vate
Dell'alma Diana i celeri guardiani.
O penetra in le fauci smisurate
Del Ciclope Sican, 've l'Etna edace
Rece a Trinacrii assai di vampe irate.
O te credendo Orfeo, la donna Trace
In te s'avventi, e le tue membra frali
Riduca a bran coll'unghia rapace.
E come ardea su ceneri fatali
(Sebben lontano) il figliuol d'Altea,
Così tua pira accendan stipe eguali.
Quale per man dell'improba Medea
La nova sposa in un col genitore
L'aula regale, e la famiglia ardea,
Come insinuossi in virulento umore,
E ratto spense ad Ercole la vita,
Tabe mortal così ti roda il core.
Di novo stral te aspetti una ferita
A quella egual, con che la prole irata
Licurgo un giorno vendicava ardita.
Divider tenta rovere spaccata,
Come Milon, né dal congiunto legno
Possa ritrar la mano imprigionata.
Ti faccian le tue offerte a' danni segno.
Siccome Icario un dì, cui d'ebbrio stuolo
Subir dovette il furibondo sdegno.
Come periva pel solenne duolo
Del padre estinto figliuola pia,
Ti strozzi un laccio, e t'abbandoni al suolo.
Chiuso di casa il limitar deh! sia
Spento da fame; la viltà del nato
Madre sublime in modo tal punia.
Viola di Diana il simulacro irato
Al par di lui, che il facile tragitto
Per ciò si rese ad Aulide vietato.
Qual Palamede già, cui fatto ascritto
D'insonte vita il filo recideva,
Sì a te non giovi aver nessun delitto.
Come l'ospite d'Isi un dì spegneva
A Etalio i giorni, onde la memor'Io
Dall'are espelle ora quell'alma seva;
Qual di Melanto il figliuolo rio.
Cui l'orba madre, e dal dolor percossa
Nel suo covil con fiaccola scoprio;
A te così facciano affrante l'ossa
Dardi vibrati, e vogliano i Celesti,
Che dell'opra de' tuoi gioir nun possa;
Ed una sera agli occhi tuoi s'appresti,
Come al Troian, quando d'Achille il forte
Pattuì tremente i corridori presti.
Né sonno più giocondo te conforte
Che il Tracio Reso ed i compagni sui,
Che pria seguirlo in viaggio, e poscia in morte.
O lor, che l'agil Niso, e chi fu a lui
Socio fedel, coi Rutuli, e Ramnete
D'Acheronte spedir ne' regni bui.
E cinto d'atra, ed infocata rete,
Come di Clinia il fìglio, l'arso frale
Porta di Stige al galeggiante abete.
Rustico dardo al capo tuo fatale
Sia come a Remo, che il bastion recente
Osò varcar d'un salto micidiale.
Deh! possa infin tra il sagittar furente
Qui vivere e morir, dov'ha ricetto
Di Scizia, e di Sarmazia l'atra gente.
Sol questi imprechi il subito libretto
Per or ti scaglii, onde non possa dire
Non esser tu de' miei pensier l'obbietto;
Son pochi, è ver; ma del mio labbro all'ire
Ne aggiungan d'altre i Dei dall'alto loco,
E rendan pago il caldo mio desìre;
Novelli imprechi leggerai tra poco,
E in numero maggior, col nome in fronte,
E pugnerò con l'arme, onde Archilòco
Lascia del suo furor le acerbe impronte.